Sopravvivere alla scuola

Certo che quando il signor Cesare, bidello della scuola elementare “Giuseppe Rigutini” di Novara entrò in classe per chiedere chi di noi avesse richiesto un po’ di inchiostro per il calamaio, mai avrei pensato che dopo 55 anni da quel principio d’anno scolastico del 1965, sarei stato ancora in una scuola. Ho passato a scuola vent’anni da studente (università compresa), trentacinque da lavoratore, non in cattedra, ma pur sempre da lavoratore. Lunedì inizia il mio cinquantaseiesimo anno scolastico; più di mezzo secolo.

Non avrei mai pensato che la scuola potesse diventare un luogo pericoloso come è oggi, ma ho sempre percepito che la scuola non potesse essere nemmeno un luogo “neutro”. La scuola è un mondo in perenne ebollizione; come stare seduti su un terreno sismico o vulcanico. L’anno che inizia lunedì sarà impegnativo e non sarà come gli altri, anche se nella scuola nessun anno è come gli altri. In questi mesi ho letto molto sulla scuola o meglio sull’idea di scuola che ha ognuno. Riforme epocali, disfunzioni, lamentele, vizi, difetti.

 

 

E ancora, cosa bisognava fare e non si è fatto, cosa invece si è fatto e non serve, critiche ai docenti, ai presidi, al personale, ai ministri. Banchi con le ruote, banchi senza ruote, plexiglas, didattica a distanza, smart working, troppe ferie, poche vacanze, troppi compiti, poche gite, troppe gite, pochi computer, troppi computer… Quando ci si guasta l’automobile la portiamo dal meccanico e aspettiamo che ce la restituisca funzionante; nessuno dice al meccanico come deve operare.

Questo non succede per la scuola dove nessuno o quasi si sottrae al sottile piacere di dire la propria opinione e questo va bene, ma tutti sembrano avere un’ idea precisa su cosa debba essere la scuola senza essere docenti o senza lavorarci dentro. Io ci lavoro e non ce l’ho. Non ce l’ho più. Non so se faremo bene o faremo meno bene. Non so cosa sia giusto e cosa sia sbagliato o meglio non lo so in senso assoluto. So però che tutti la prendono seriamente e tutti sono molto preoccupati, per sé stessi e per gli alunni.

Lunedì l’ufficio dove lavoro torna ad essere un pezzo di scuola. Noi ce la metteremo tutta; staremo a vedere se ci riusciremo. Se non ci riusciremo sarà colpa nostra che ci lavoriamo e del ministro, se invece ci riusciremo sarà certamente merito di tutti quelli che ci hanno detto come fare.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Sopravvivere alla scuola

Certo che quando il signor Cesare, bidello della scuola elementare “Giuseppe Rigutini” di Novara entrò in classe per chiedere chi di noi avesse richiesto un po’ di inchiostro per il calamaio, mai avrei pensato che dopo 55 anni da quel principio d’anno scolastico del 1965, sarei stato ancora in una scuola. Ho passato a scuola vent’anni da studente (università compresa), trentacinque da lavoratore, non in cattedra, ma pur sempre da lavoratore. Lunedì inizia il mio cinquantaseiesimo anno scolastico; più di mezzo secolo.

Non avrei mai pensato che la scuola potesse diventare un luogo pericoloso come è oggi, ma ho sempre percepito che la scuola non potesse essere nemmeno un luogo “neutro”. La scuola è un mondo in perenne ebollizione; come stare seduti su un terreno sismico o vulcanico. L’anno che inizia lunedì sarà impegnativo e non sarà come gli altri, anche se nella scuola nessun anno è come gli altri. In questi mesi ho letto molto sulla scuola o meglio sull’idea di scuola che ha ognuno. Riforme epocali, disfunzioni, lamentele, vizi, difetti.

 

 

E ancora, cosa bisognava fare e non si è fatto, cosa invece si è fatto e non serve, critiche ai docenti, ai presidi, al personale, ai ministri. Banchi con le ruote, banchi senza ruote, plexiglas, didattica a distanza, smart working, troppe ferie, poche vacanze, troppi compiti, poche gite, troppe gite, pochi computer, troppi computer… Quando ci si guasta l’automobile la portiamo dal meccanico e aspettiamo che ce la restituisca funzionante; nessuno dice al meccanico come deve operare.

Questo non succede per la scuola dove nessuno o quasi si sottrae al sottile piacere di dire la propria opinione e questo va bene, ma tutti sembrano avere un’ idea precisa su cosa debba essere la scuola senza essere docenti o senza lavorarci dentro. Io ci lavoro e non ce l’ho. Non ce l’ho più. Non so se faremo bene o faremo meno bene. Non so cosa sia giusto e cosa sia sbagliato o meglio non lo so in senso assoluto. So però che tutti la prendono seriamente e tutti sono molto preoccupati, per sé stessi e per gli alunni.

Lunedì l’ufficio dove lavoro torna ad essere un pezzo di scuola. Noi ce la metteremo tutta; staremo a vedere se ci riusciremo. Se non ci riusciremo sarà colpa nostra che ci lavoriamo e del ministro, se invece ci riusciremo sarà certamente merito di tutti quelli che ci hanno detto come fare.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.