Vedere un film di Ken Loach è una sorta di rito. I suoi film hanno, quasi esclusivamente, un solo soggetto: il proletariato urbano inglese. Non stupitevi troppo se uso questo termine “marxiano” (e marxista), Ken Loach resta profondamente marxista, nelle tematiche, nelle poetiche, probabilmente anche nelle aspirazioni. È questa la sua cifra stilistica. “Sorry, we missed you” è uguale a tutti gli altri suoi film, solo che non ci sono più le miniere del Galles e le “Colliery Bands”, le grandi manifatture, i pubs, ma al loro posto ci sono i lavoratori atipici dei nostri giorni, un corriere con il suo furgone, sua moglie assistente domiciliare e i loro figli con qualche problematica. È tutto qui? Sì è tutto qui. Ricky e Abby conducono una vita di stenti e quando Ricky riesce a trovare lavoro come corriere, presso una grande ditta di distribuzione e consegne, sembra che le prospettive famigliari possano cambiare. Ma così non è, poiché i forsennati ritmi di lavoro che interferiscono con qualche prevedibile contrattempo famigliare, lo mettono in seria difficoltà nei confronti dell’intransigente “boss” della ditta di trasporti. Lavoro precarizzato, cottimizzato e sotto pagato sono le condizioni di base di molte mansioni della civilissima Inghilterra. Il cinema di Loach non rinuncia mai ad essere un cinema di denuncia, con una vena lirica e poetica, intrinseca al realismo della narrazione cinematografica. Una ricerca di verità, più che di “verismo” che fa di lui, certamente, il più grande regista di denuncia del cinema contemporaneo. Prova del suo impegno sono le parole che scorrono nei titoli di coda: “Grazie a tutti quei trasportatori che ci hanno fornito informazioni sul loro lavoro, ma non hanno voluto che i loro nomi comparissero”. Parole che confermano un’idea cinema di grande impegno politico e sociale ma non disgiunto da una vena poetica di notevole forza morale.