Una botta di psichedelia

Leggiamo spesso nelle biografie di scrittori, artisti e musicisti, che dopo un viaggio particolarmente significativo, il loro modo di scrivere, dipingere, comporre musica è cambiato. In un certo senso sembrerebbe inevitabile, almeno quando un viaggio non è una semplice vacanza o quando non si è mai fatto nessun viaggio. È capitato a Marco Polo in Cina, a Wolfgang Goethe in Italia, a Eugene Delacroix in Marocco, a Mandelsshon in Gran Bretagna.

Non ci crederete, ma è capitato anche al Mariulin. Solo che mentre dopo il suo ritorno dalla Cina, Marco Polo scrisse “Il Milione”, se dopo aver visto la nostra penisola Goethe scrisse “Viaggio in Italia, se quando tornò in Francia Delacroix dipinse lo sconvolgente “Donne di Algeri”, se al suo ritorno dalla Gran Bretagna Mendelsshon mise mano alla “Sinfonia Scozzese”, anche il Mariulin nel suo piccolo, una volta tornato da Londra nell’aprile del 1973, si diede alla “creatività” (che allora non si chiamava così).

Quadri? Opere letterarie? Musica? No, diciamo arredamento: misi in croce mia mamma e mio papà per arredare di nuovo la cameretta (dopo che il nonno Giovanni ci aveva lasciati) ed avevo quindi uno spazio tutto per me. Il fulcro di quella decisione fu una cintura che mi comprai a Carnaby Street, dopo il “viaggio” di una settimana a Londra che sconvolse la mia mente. In origine la cintura avrebbe dovuto sostenere i pantaloni, ma quando l’Angelica (mia mamma, che sapeva essere diabolica), la vide me la diede semplicemente sulla testa (dalla parte della fibbia). Lo scandalo della cintura consisteva nel fatto che proprio sotto la fibbia (quella che mi arrivò sulla testa) era riprodotta la bandiera inglese, la famosa “Union Jack” e che ciò mi avrebbe fatto passare, a detta dell’Angelica, per una testa calda o magari per un “hippy”.

In poche parole mi ordinò di tenerla, al massimo, nella cameretta. Da quel divieto nacque l’idea di costruire, intorno alla cintura con la “Union Jack”, una mia “confort-zone”. Mi diedi da fare per cercare una gomma di Mini-Morris per farci uno sgabello, e magari una bottiglia di Whiskey vuota. Niente da fare, cose troppo difficili da reperire per me. La mia salvezza venne dalla cartoleria Racchi di Novara (Pianura Padana). Il famoso cartolaio novarese, in quegli anni, aveva aperto accanto alla cartoleria tradizionale, un negozio particolare; si chiamava “Idea” e proponeva al pubblico oggetti che potremmo definire pop-psichedelici. Ruppi il salvadanaio (che non era il solito porcellino, ma una scatola da scarpe) e decisi di investire tutti i miei averi nella psichedelia e nella optical-art. Riuscì anche ad estorcere ai miei genitori una scrivania, un letto retraibile e una mezza libreria.

Gli acquisti più significativi però furono quelli fatti da “Idea” che vado ad enumerarvi: una lampada “psichedelica” costituita da un cilindro riempito di un liquido oleoso nel quale si muovevano piccoli quadratini di stagnola che producevano riflessi in movimento sulla parete, un poster con il famoso passaggio pedonale di Abbey Road, due cuscini sagomati con le figure di Snoopy e Lucy Van Pelt (anche se figli dello statunitense Schulz erano abbastanza pop), ma soprattutto un’altra lampada con piantana e tre sbarre cromate di sostengo sulle quali erano incastrate tre lampadine di diverso colore, rossa, blu e bianca (il riferimento inconscio al UK era evidente).

Proprio su quelle lampada, ad una delle sbarre appesi trionfalmente la mia cintura! Devo dire che anche mio padre, solitamente poco incline ai facili entusiasmi, ebbe una botta di “psichedelia” e tinteggiò le pareti della cameretta di un verde intenso attraversato da una banda arancione. Sul soffitto diede il meglio di sé con una scacchiera composta da quadrati verdi, arancioni e bianchi. Insomma il breve soggiorno londinese trasformò l’appartamento di Sant’Agabio in una succursale di Piccadilly Circus. E poi non dite che il lockdown non stimola i ricordi…

 

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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0 risposte

  1. Simpaticissimo questo ricordo, Mario! Ci restituisce anche l ‘atmosfera di tempi davvero andati…. Peccato che la bottega psichedelica non ci sia più… (o vive una vita clandestina in qualche recesso a me ignoto?)

  2. Sicuramente non esiste più, ne ho scritto per fermarne il ricordo nella mia mente. Spesso se non si scrive di qualcosa si finisce per dubitare anche del fatto che sia esistita davvero…

  3. Caro Mario, è sempre un piacere leggerti. Questa tua memoria “inglese” mi fa tornare alla mente la mia, legata ad una permanenza a Londra nella primavera del 1970. Anche a me quel viaggio di circa un mese lascio un segno importante, non ultimo l’acquisto di una serie di costumi trtatrali che comprai allo straordinario mercatino di Portobello road e che utilizzai per il mio film d’artista “È romantico esplorare ovvero il Settecento ritrovato”. Sarebbe troppo lungo qui raccontarti come riuscii a portare in aereo questi costumi a Firenze, lo farò appena riusciremo a vederci di persona. Un abbraccio.

  4. Caro Andrea, non vedo l’ora di ascoltare il racconto, però valuta anche l’opportunità che ci offrono questi mezzi per condividere ricordi come questo. Avresti moltissimo da raccontare e non solo di Londra…

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Una botta di psichedelia

Leggiamo spesso nelle biografie di scrittori, artisti e musicisti, che dopo un viaggio particolarmente significativo, il loro modo di scrivere, dipingere, comporre musica è cambiato. In un certo senso sembrerebbe inevitabile, almeno quando un viaggio non è una semplice vacanza o quando non si è mai fatto nessun viaggio. È capitato a Marco Polo in Cina, a Wolfgang Goethe in Italia, a Eugene Delacroix in Marocco, a Mandelsshon in Gran Bretagna.

Non ci crederete, ma è capitato anche al Mariulin. Solo che mentre dopo il suo ritorno dalla Cina, Marco Polo scrisse “Il Milione”, se dopo aver visto la nostra penisola Goethe scrisse “Viaggio in Italia, se quando tornò in Francia Delacroix dipinse lo sconvolgente “Donne di Algeri”, se al suo ritorno dalla Gran Bretagna Mendelsshon mise mano alla “Sinfonia Scozzese”, anche il Mariulin nel suo piccolo, una volta tornato da Londra nell’aprile del 1973, si diede alla “creatività” (che allora non si chiamava così).

Quadri? Opere letterarie? Musica? No, diciamo arredamento: misi in croce mia mamma e mio papà per arredare di nuovo la cameretta (dopo che il nonno Giovanni ci aveva lasciati) ed avevo quindi uno spazio tutto per me. Il fulcro di quella decisione fu una cintura che mi comprai a Carnaby Street, dopo il “viaggio” di una settimana a Londra che sconvolse la mia mente. In origine la cintura avrebbe dovuto sostenere i pantaloni, ma quando l’Angelica (mia mamma, che sapeva essere diabolica), la vide me la diede semplicemente sulla testa (dalla parte della fibbia). Lo scandalo della cintura consisteva nel fatto che proprio sotto la fibbia (quella che mi arrivò sulla testa) era riprodotta la bandiera inglese, la famosa “Union Jack” e che ciò mi avrebbe fatto passare, a detta dell’Angelica, per una testa calda o magari per un “hippy”.

In poche parole mi ordinò di tenerla, al massimo, nella cameretta. Da quel divieto nacque l’idea di costruire, intorno alla cintura con la “Union Jack”, una mia “confort-zone”. Mi diedi da fare per cercare una gomma di Mini-Morris per farci uno sgabello, e magari una bottiglia di Whiskey vuota. Niente da fare, cose troppo difficili da reperire per me. La mia salvezza venne dalla cartoleria Racchi di Novara (Pianura Padana). Il famoso cartolaio novarese, in quegli anni, aveva aperto accanto alla cartoleria tradizionale, un negozio particolare; si chiamava “Idea” e proponeva al pubblico oggetti che potremmo definire pop-psichedelici. Ruppi il salvadanaio (che non era il solito porcellino, ma una scatola da scarpe) e decisi di investire tutti i miei averi nella psichedelia e nella optical-art. Riuscì anche ad estorcere ai miei genitori una scrivania, un letto retraibile e una mezza libreria.

Gli acquisti più significativi però furono quelli fatti da “Idea” che vado ad enumerarvi: una lampada “psichedelica” costituita da un cilindro riempito di un liquido oleoso nel quale si muovevano piccoli quadratini di stagnola che producevano riflessi in movimento sulla parete, un poster con il famoso passaggio pedonale di Abbey Road, due cuscini sagomati con le figure di Snoopy e Lucy Van Pelt (anche se figli dello statunitense Schulz erano abbastanza pop), ma soprattutto un’altra lampada con piantana e tre sbarre cromate di sostengo sulle quali erano incastrate tre lampadine di diverso colore, rossa, blu e bianca (il riferimento inconscio al UK era evidente).

Proprio su quelle lampada, ad una delle sbarre appesi trionfalmente la mia cintura! Devo dire che anche mio padre, solitamente poco incline ai facili entusiasmi, ebbe una botta di “psichedelia” e tinteggiò le pareti della cameretta di un verde intenso attraversato da una banda arancione. Sul soffitto diede il meglio di sé con una scacchiera composta da quadrati verdi, arancioni e bianchi. Insomma il breve soggiorno londinese trasformò l’appartamento di Sant’Agabio in una succursale di Piccadilly Circus. E poi non dite che il lockdown non stimola i ricordi…

 

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.