Chiunque di noi può fare una semplice, libera associazione mentale con il seguenti nome e cognome: “Valentina” e “Crepax”; peccato però che, nove volte su dieci, questa associazione risulti poi, in questo caso, essere inesatta o quantomeno imprecisa, poiché non è di “quella” Valentina che pensate più o meno tutti Voi che leggerete in questo libro. Non si tratta della Valentina con il caschetto di capelli neri e in reggicalze, quella che ricordate nelle affascinanti avventure pubblicate su “Linus” e disegnate da Guido Crepax. Si tratta di una Valentina in carne ed ossa che con il fumetto ha in comune solo l’autore, Guido Crepax che era suo zio. Ed proprio questo il filo conduttore di tutto il bellissimo volumetto edito da Bompiani che si intitola “Io e l’asino mio” e che racconta di questo scambio di persone, se così si può dire, ma anche di un pezzo della storia della famiglia Crepax e Crepas a causa di un malinteso anagrafico. Valentina (quella di carne, non dico “vera” poiché vere sono tutte e due, solo che l’altra era vera solo sulla carta), ha portato sulle spalle per tutta la vita questo nome impegnativo e per tutta la vita ha dovuto, se non proprio combattere per affrancarsi da esso, quantomeno “chiamarsi fuori” da equivoci, scambi di persona, allusioni.
Tutta colpa dello zio Guido che ebbe la brillante idea di chiamare con il nome della nipote il suo fascinoso e conturbante personaggio. In realtà la modella e musa ispiratrice di Guido Crepax furono sua moglie Luisa Mandelli e il ricordo di Louise Brooks, celebre show-girl, ballerina e attrice (che con Crepax intrattenne anche un breve carteggio). Ma di fatto, con un nome così, Valentina Crepax ebbe se non proprio la vita segnata, quantomeno una vita “riflessa”. “No, non ho mai avuto un rapporto sessuale con un televisore Brionvega” si trova a dover rispondere la Valentina “in carne” ad uno dei tanti cascamorti con cui ebbe a che fare nella sua vita a causa del suo nome e cognome.
Ma è certo che se il “fil rouge” è questo, il libro ci racconta molto altro; ci racconta la storia di una famiglia illuminata della media borghesia milanese, in un periodo che va dalla metà degli anni Cinquanta fino all’inizio del nuovo secolo che, detto per inciso, anche a Valentina come a chi scrive, sembra non reggere il confronto. Sia la scrittura, apparentemente svagata, casuale e con molte licenze, sia il modo di concepire il libro, per argomenti concettuali come “Mia madre”, “Animali”, “Regolamento personale”, “Le case”, “Gli elettrodomestici”, fanno di questa lettura una inaspettata “vacanza narrativa”, se vogliamo anche particolarmente adatta al periodo che stiamo vivendo.
Ci sono una fotografia e una tavola in chiusura del volumetto. Uno “spaccato” (si dice così), di una Milano che non c’è più e che sembra non sia mai esistita davvero: sono una fotografia e una tavola di Guido che rappresentano, entrambe, parte della famiglia Crepax/Crepas ed alcuni amici riuniti intorno ad un grande gioco di scatola, “Le battaglie di Waterloo e Trafalgar” e tra essi si notano, Emilio Tadini, i fratelli Abbado, Francesco Casetti, Sergio Toppi, Dino Battaglia… Queste due immagini, la fotografia e la sua rappresentazione grafica, la dicono lunga su quella che mi piace chiamare la “Swinging Milan”, un ambiente pieno zeppo di stimoli culturali, artistici e politici. Del resto lo dice assai meglio di me, in appendice al volume, Natalia Aspesi in una lettera all’autrice: “…Non c’è più una vera casa Crepax, o almeno io non la conosco, a riunire le teste creative di bellezza e speranza: non è che non ce ne siano più, forse ce ne sono di meno, ma son tutti in televisione, tutte le sere e a tutte le ore e in tutti i canali, a umiliare la loro sapienza con villanzoni che gridano bugie e cattiverie.”