Viaggio in Italia e altri pensieri inutili per lettori pazienti

Mi faccio sempre prendere per l’anima e ascolto sempre le voci del cuore. Quest’anno, dopo esattamente quarant’anni, per la prima volta, non vedrò Parigi. Ho rinunciato ad abitare la mia casetta, un po’ per paura del virus e un po’ per aiutare l’Italia. Siccome mi sforzo sempre di essere sincero, e non sempre ci riesco, in realtà l’ho fatto più per paura che per solidarietà verso i miei connazionali. Pare che andasse fatto per aiutare i nostri imprenditori in difficoltà, anche se non ho visto troppo spesso i nostri imprenditori aiutare gli altri, ma comunque non facciamo polemiche. Quando faccio un “viaggio” in Italia, mi sento uno straniero in Patria: non conosco le strade, mi muovo con timore e con qualche pregiudizio.

Mi sento molto più a mio agio in una strada di Londra che non in una di Parma, anche se ci sono stato qualche volta. Eppure so di sbagliare, ma è qualcosa di più forte di me: diffido degli italiani, non di tutti naturalmente, ma di molti. A volte mi ricredo, per esempio ho trovato Sestri Levante una cittadina molto gradevole e discreta, lontana anni luce dalla mondanissima St.Tropez che ho frequentato per decenni, non certo per la mondanità, ma per quella “aura” di nostalgia cinematografica che l’ha sempre circondata.

A Sestri Levante sono rimasto spaesato per qualche ora, con tutta quella gente che non parlava il francese ma l’italiano, senza la compagnia di Françoise e di Patrick, senza Gassin, senza Grimaud e senza Ramatuelle, ma con la compagnia di Giovanni architetto e grande amico che guarda caso ha progettato anche anche a Parigi: cosa? Posti per mangiare, informatevi. Poi è stata la volta di Parma, la città del mio maestro delle elementari che mi faceva disegnare con i pastelli “Giotto”. A Parma, al Complesso Monumentale della Pilotta, era necessario vedere Piero Fornasetti col suo “Theatrum Mundi”. Mi ci ha spedito direttamente mio amico Corrado visto che Simone Verde, il direttore, è suo caro amico e visto che ho una sua dedica su un suo celebre libro, “Le belle arti e i selvaggi”.

 

 

Far visita a Fornasetti alla Pilotta e al Teatro Farnese, è stato un po’ come poter far visita a Stanley Kubrick all’Overlook Hotel di “Shining”: come quel film sembrava fatto per quel luogo, così le metafisiche dissonanze della oggettistica di Fornasetti si sposano a meraviglia con l’austero palazzo e con il suo fantasmagorico Teatro Farnese. Era da un po’ di tempo che sopportavo persone che mi dicevano: “Ma come, sei stato “mille mila” volte al Centre Pompidou o alla Tate Modern e non sei mai stato al MART di Rovereto?” E allora già che ero a Rovereto non potevo non visitare anche la Casa d’Arte Futurista Fortunato Depero, dove il mio amico Massimo ha redatto metà della sua tesi di laurea e dove sono trent’anni che cerca di spedirmi. Prossima tappa Venezia. Qui ci sono venuto spesso; la prima volta che ho preso un treno, anzi che lui ha preso me, sono arrivato qui.

Mio nonno Giovanni era un veneziano doc (ho trovato anche un campanello con scritto il suo cognome, Fassio) e quindi la sento un po’ come casa mia o come la prima fidanzata. Tutto qui? No. A Venezia ci sono Palazzo Grassi, Punta della Dogana, la Biennale, la Mostra del Cinema (che inizia tra pochi giorni) e tutto “il resto”, quello divorato dai turisti, ma anche quello sussurrato da chi ama la città. E poi c’è anche la mia ex collega del liceo artistico di Venezia (almeno, spero che ci sia ancora), con cui condussi una battaglia per i modelli e le modelle dei licei artistici, c’è la scuola dove la mia amica Barbara ha imparato a lavorare il vetro, ma anche una famosa facoltà di architettura che hanno frequentato tanti miei amici, a cominciare dal compianto Roberto Moroni; poi c’è Enrico che aiuta Corrado nella organizzazione di “Novara Jazz”. Insomma pensandoci bene ci sono tantissime cose che mi legano a questa città. Ho divagato? Sì ho divagato, lo faceva anche Goethe, quindi lo posso fare anch’io. E poi in questi giorni ci sono belle mostre alle quali dedicherò post specifici: “Untitled 2020” alla Punta della Dogana, “Henri Cartier-Bresson: le Grand Jeu” e “Youssef Nabil: Once Upon a Dream”, fotografie edulcorate e stampate con una particolare tecnica che vanno a creare “Nilwood” (la sorella minore di Bollywood).

A Palazzo Grassi, però c’è anche “Le Grand Jeu” un bel cimento di collezionisti, registi e fotografi che devono scegliere di fare un “book” personale con le foto di Cartier-Bresson. Prima della Messa domenicale (io sono credente e praticante), butto uno sguardo alla Scuola Grande di San Rocco, per vedere se il sontuoso Mosé di Tintoretto e tutto il resto sono ancora al loro posto e se per caso magari potessi incontrare Woody Allen e Julia Roberts seduti ancora lì dall’epoca di “Tutti dicono I love you”. Niente, non ci sono, c’è solo Mosé (non che sia poca cosa). Messa “ton sur ton” proprio nella Chiesa di San Rocco (con i soliti tre o quattro praticanti (a Venezia come a Novara). Cicchetti a gogo, alla “Naranzaria” di Rialto, ma caffé al Fondaco dei Tedeschi che è diventato una “Rinascente” un po’ più “barovier”, ma con una terrazza che offre un magnifico panorama su Venezia (beh cosa altro dovrebbero offrire una terrazza?). Eccomi finalmente alla mostra della Fondazione Cini, nella sua sezione staccata di Palazzo Vio, ed ecco “Piranesi Roma Basilico”.

Un bel confronto tra le immagini di Roma del più grande dei nostri incisori (insieme a Marcantonio Raimondi, s’intende) e il grande fotografo di cui parlerò in un prossimo post. Prima di perdere le forze, e dopo aver perso la pazienza con un custode a causa di scale, ascensori e covid, una visitina ad una signora che non vedo da tanti anni, la devo proprio fare, si chiama Peggy, è sempre stata un po’ eccentrica e ha una casa proprio sul Gran Canal (dove ci ha pure seppellito i cagnolini). Avete mai visto una sinagoga costruita al terzo piano di una casa? No? La sinagoga della “Scola Canton” del Ghetto Nuovo è all’ultimo piano (anche perché per un ebreo l’inquilino al piano di sopra non può essere che Dio).

Dal Ghetto è un attimo farsi tutto Cannaregio per andare a portare un fiore sulla tomba del pittore Jacopo Robusti alla Madonna dell’Orto e già che ci siamo farsi rapire dalla bellezza di Santa Maria dei Miracoli e poi allungare il giro fino a San “Zanipolo” come dicono i “venessiani”. Non può mancare anche una sgambatina fino all’Arsenale, passando per il chiesone di San Francesco della Vigna dove ci avevano messo le mani un po’ Sansovino e un po’ Palladio (e poi qualche scellerato ci costruì vicino due gasometri forse per far contento Sironi).

Tornando a casa avrei voluto andare a trovare degli usurai di Padova che tanti anni fa (settecento), si sono fatti dipingere una cappella da uno che disegnava pecore sui sassi e che avevo visto sulle scatole dei pastelli quando facevo le elementari (col già citato Maestro Maini), ma impossibile prenotare una visita via web e al telefono solo tanta bellissima musica come fossimo al Festival di Sanremo. Dall’Italia è tutto.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Viaggio in Italia e altri pensieri inutili per lettori pazienti

Mi faccio sempre prendere per l’anima e ascolto sempre le voci del cuore. Quest’anno, dopo esattamente quarant’anni, per la prima volta, non vedrò Parigi. Ho rinunciato ad abitare la mia casetta, un po’ per paura del virus e un po’ per aiutare l’Italia. Siccome mi sforzo sempre di essere sincero, e non sempre ci riesco, in realtà l’ho fatto più per paura che per solidarietà verso i miei connazionali. Pare che andasse fatto per aiutare i nostri imprenditori in difficoltà, anche se non ho visto troppo spesso i nostri imprenditori aiutare gli altri, ma comunque non facciamo polemiche. Quando faccio un “viaggio” in Italia, mi sento uno straniero in Patria: non conosco le strade, mi muovo con timore e con qualche pregiudizio.

Mi sento molto più a mio agio in una strada di Londra che non in una di Parma, anche se ci sono stato qualche volta. Eppure so di sbagliare, ma è qualcosa di più forte di me: diffido degli italiani, non di tutti naturalmente, ma di molti. A volte mi ricredo, per esempio ho trovato Sestri Levante una cittadina molto gradevole e discreta, lontana anni luce dalla mondanissima St.Tropez che ho frequentato per decenni, non certo per la mondanità, ma per quella “aura” di nostalgia cinematografica che l’ha sempre circondata.

A Sestri Levante sono rimasto spaesato per qualche ora, con tutta quella gente che non parlava il francese ma l’italiano, senza la compagnia di Françoise e di Patrick, senza Gassin, senza Grimaud e senza Ramatuelle, ma con la compagnia di Giovanni architetto e grande amico che guarda caso ha progettato anche anche a Parigi: cosa? Posti per mangiare, informatevi. Poi è stata la volta di Parma, la città del mio maestro delle elementari che mi faceva disegnare con i pastelli “Giotto”. A Parma, al Complesso Monumentale della Pilotta, era necessario vedere Piero Fornasetti col suo “Theatrum Mundi”. Mi ci ha spedito direttamente mio amico Corrado visto che Simone Verde, il direttore, è suo caro amico e visto che ho una sua dedica su un suo celebre libro, “Le belle arti e i selvaggi”.

 

 

Far visita a Fornasetti alla Pilotta e al Teatro Farnese, è stato un po’ come poter far visita a Stanley Kubrick all’Overlook Hotel di “Shining”: come quel film sembrava fatto per quel luogo, così le metafisiche dissonanze della oggettistica di Fornasetti si sposano a meraviglia con l’austero palazzo e con il suo fantasmagorico Teatro Farnese. Era da un po’ di tempo che sopportavo persone che mi dicevano: “Ma come, sei stato “mille mila” volte al Centre Pompidou o alla Tate Modern e non sei mai stato al MART di Rovereto?” E allora già che ero a Rovereto non potevo non visitare anche la Casa d’Arte Futurista Fortunato Depero, dove il mio amico Massimo ha redatto metà della sua tesi di laurea e dove sono trent’anni che cerca di spedirmi. Prossima tappa Venezia. Qui ci sono venuto spesso; la prima volta che ho preso un treno, anzi che lui ha preso me, sono arrivato qui.

Mio nonno Giovanni era un veneziano doc (ho trovato anche un campanello con scritto il suo cognome, Fassio) e quindi la sento un po’ come casa mia o come la prima fidanzata. Tutto qui? No. A Venezia ci sono Palazzo Grassi, Punta della Dogana, la Biennale, la Mostra del Cinema (che inizia tra pochi giorni) e tutto “il resto”, quello divorato dai turisti, ma anche quello sussurrato da chi ama la città. E poi c’è anche la mia ex collega del liceo artistico di Venezia (almeno, spero che ci sia ancora), con cui condussi una battaglia per i modelli e le modelle dei licei artistici, c’è la scuola dove la mia amica Barbara ha imparato a lavorare il vetro, ma anche una famosa facoltà di architettura che hanno frequentato tanti miei amici, a cominciare dal compianto Roberto Moroni; poi c’è Enrico che aiuta Corrado nella organizzazione di “Novara Jazz”. Insomma pensandoci bene ci sono tantissime cose che mi legano a questa città. Ho divagato? Sì ho divagato, lo faceva anche Goethe, quindi lo posso fare anch’io. E poi in questi giorni ci sono belle mostre alle quali dedicherò post specifici: “Untitled 2020” alla Punta della Dogana, “Henri Cartier-Bresson: le Grand Jeu” e “Youssef Nabil: Once Upon a Dream”, fotografie edulcorate e stampate con una particolare tecnica che vanno a creare “Nilwood” (la sorella minore di Bollywood).

A Palazzo Grassi, però c’è anche “Le Grand Jeu” un bel cimento di collezionisti, registi e fotografi che devono scegliere di fare un “book” personale con le foto di Cartier-Bresson. Prima della Messa domenicale (io sono credente e praticante), butto uno sguardo alla Scuola Grande di San Rocco, per vedere se il sontuoso Mosé di Tintoretto e tutto il resto sono ancora al loro posto e se per caso magari potessi incontrare Woody Allen e Julia Roberts seduti ancora lì dall’epoca di “Tutti dicono I love you”. Niente, non ci sono, c’è solo Mosé (non che sia poca cosa). Messa “ton sur ton” proprio nella Chiesa di San Rocco (con i soliti tre o quattro praticanti (a Venezia come a Novara). Cicchetti a gogo, alla “Naranzaria” di Rialto, ma caffé al Fondaco dei Tedeschi che è diventato una “Rinascente” un po’ più “barovier”, ma con una terrazza che offre un magnifico panorama su Venezia (beh cosa altro dovrebbero offrire una terrazza?). Eccomi finalmente alla mostra della Fondazione Cini, nella sua sezione staccata di Palazzo Vio, ed ecco “Piranesi Roma Basilico”.

Un bel confronto tra le immagini di Roma del più grande dei nostri incisori (insieme a Marcantonio Raimondi, s’intende) e il grande fotografo di cui parlerò in un prossimo post. Prima di perdere le forze, e dopo aver perso la pazienza con un custode a causa di scale, ascensori e covid, una visitina ad una signora che non vedo da tanti anni, la devo proprio fare, si chiama Peggy, è sempre stata un po’ eccentrica e ha una casa proprio sul Gran Canal (dove ci ha pure seppellito i cagnolini). Avete mai visto una sinagoga costruita al terzo piano di una casa? No? La sinagoga della “Scola Canton” del Ghetto Nuovo è all’ultimo piano (anche perché per un ebreo l’inquilino al piano di sopra non può essere che Dio).

Dal Ghetto è un attimo farsi tutto Cannaregio per andare a portare un fiore sulla tomba del pittore Jacopo Robusti alla Madonna dell’Orto e già che ci siamo farsi rapire dalla bellezza di Santa Maria dei Miracoli e poi allungare il giro fino a San “Zanipolo” come dicono i “venessiani”. Non può mancare anche una sgambatina fino all’Arsenale, passando per il chiesone di San Francesco della Vigna dove ci avevano messo le mani un po’ Sansovino e un po’ Palladio (e poi qualche scellerato ci costruì vicino due gasometri forse per far contento Sironi).

Tornando a casa avrei voluto andare a trovare degli usurai di Padova che tanti anni fa (settecento), si sono fatti dipingere una cappella da uno che disegnava pecore sui sassi e che avevo visto sulle scatole dei pastelli quando facevo le elementari (col già citato Maestro Maini), ma impossibile prenotare una visita via web e al telefono solo tanta bellissima musica come fossimo al Festival di Sanremo. Dall’Italia è tutto.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.