Considerazioni semiserie sulla Pasqua

Da bambino per me la Pasqua era qualcosa di assolutamente misterioso, non solo per la Resurrezione di nostro Signore, ma della Pasqua mi stupiva lo schiacciamento temporale, per così dire. Erano passati solo tre-quattro mesi dal Natale (a seconda se la Pasqua fosse “bassa” o “alta”) e trovavo quel bambino nato in una mangiatoia, già uomo e uomo perseguitato e messo in Croce. Eppure io andavo a messa tutte le domeniche e non mi perdevo una sola “puntata” della vita di Gesù Bambino.

Però, per me c’era qualcosa che non tornava proprio nell’anno liturgico. Non riuscivo mai a capire come il neonato Gesù, dopo pochi mesi, fosse un trentatreenne a cui molti volevano male. Più che “come”, non riuscivo a capire “quando” fosse diventato grande senza che io me ne accorgessi. Ma il dopo-Pasqua era anche peggio, perché fino alla Resurrezione non c’erano problemi. Deposto il corpo di Gesù dalla Croce, portato nel sepolcro con quel pietrone davanti, sapevo che dubbi non potevano essercene. Poi Gesù risorgeva ed io non riuscivo a farmi una ragione, non tanto che Gesù fosse risorto (io tifavo per lui perché sapevo che sarebbe risorto, visto che Gesù e Zorro erano i nostri due supereroi), ma non riuscivo a immaginare le donne che avevano fatto la scoperta. Le identificavo con le tante vedove di Sant’Agabio, il quartiere dove sono nato e vissuto, che andavano al cimitero a trovare i loro mariti. Come avrebbero reagito se sul cancello del cimitero avessero trovato il custode che diceva: “I vostri mariti non sono più qui…”.

Comunque dopo Pasqua il mistero si infittiva perché il Mariulin, pur seguendo tutte le nuove avventure di Gesù risorto, non si capacitava di come, verso il principio dell’estate con l’Ascensione, Gesù Cristo sparisse di nuovo, ma questa volta chiamato dal suo papà vero, quel Dio che noi bambini avevamo timore al solo nominarlo.

Durante il “tempo ordinario” della Chiesa, il sacerdote alla domenica continuava con i Vangeli e le letture che lo riguardavano come se niente fosse, ma io nei banchi della chiesa di Sant’Agabio non mi davo pace e mi chiedevo dove fosse finito. Poi verso l’autunno, alla prima domenica di dicembre o anche all’ultima di novembre, incominciava l’Avvento e Gesù doveva ancora nascere. Mi mancava sempre un pezzo, ma cominciavo a capire che la storia era circolare e si sarebbe ripetuta sempre così.

Naturalmente noi bambini, contravvenendo a quello che ci diceva don Carlo, consideravamo il Natale più importante della Pasqua, non tanto perché considerassimo il nascere più credibile del risorgere, ma per il fatto che era praticamente l’unica occasione dell’anno nella quale ricevevamo un giocattolo in regalo. La Pasqua comunque tornava come il Natale, e io il Venerdì santo me lo immaginavo sempre come un oscuro giorno di pioggia (e spesso lo era, perché una volta in primavera pioveva davvero) e passavo poi un paio di giorni in ansia perché mi chiedevo se Gesù ce l’avrebbe fatta, anche questa volta, a resuscitare.

Da quando sono bambino (ma mi dicono anche prima), ci è sempre riuscito. Il problema vero è che oggi per i bambini, per i loro papà e per le loro mamme, la Pasqua è un ponte con il mare, le città d’arte e le piste da sci e nessuno è più sconvolto da quell’uomo sulla Croce (eppure ce ne sono ancora tantissimi intorno a noi) e tantomeno è più in ansia nell’attesa di sapere se anche questa volta Gesù ce la farà a resuscitare. Comunque ce la farà, ve lo dico io. Buona Pasqua a tutti.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Considerazioni semiserie sulla Pasqua

Da bambino per me la Pasqua era qualcosa di assolutamente misterioso, non solo per la Resurrezione di nostro Signore, ma della Pasqua mi stupiva lo schiacciamento temporale, per così dire. Erano passati solo tre-quattro mesi dal Natale (a seconda se la Pasqua fosse “bassa” o “alta”) e trovavo quel bambino nato in una mangiatoia, già uomo e uomo perseguitato e messo in Croce. Eppure io andavo a messa tutte le domeniche e non mi perdevo una sola “puntata” della vita di Gesù Bambino.

Però, per me c’era qualcosa che non tornava proprio nell’anno liturgico. Non riuscivo mai a capire come il neonato Gesù, dopo pochi mesi, fosse un trentatreenne a cui molti volevano male. Più che “come”, non riuscivo a capire “quando” fosse diventato grande senza che io me ne accorgessi. Ma il dopo-Pasqua era anche peggio, perché fino alla Resurrezione non c’erano problemi. Deposto il corpo di Gesù dalla Croce, portato nel sepolcro con quel pietrone davanti, sapevo che dubbi non potevano essercene. Poi Gesù risorgeva ed io non riuscivo a farmi una ragione, non tanto che Gesù fosse risorto (io tifavo per lui perché sapevo che sarebbe risorto, visto che Gesù e Zorro erano i nostri due supereroi), ma non riuscivo a immaginare le donne che avevano fatto la scoperta. Le identificavo con le tante vedove di Sant’Agabio, il quartiere dove sono nato e vissuto, che andavano al cimitero a trovare i loro mariti. Come avrebbero reagito se sul cancello del cimitero avessero trovato il custode che diceva: “I vostri mariti non sono più qui…”.

Comunque dopo Pasqua il mistero si infittiva perché il Mariulin, pur seguendo tutte le nuove avventure di Gesù risorto, non si capacitava di come, verso il principio dell’estate con l’Ascensione, Gesù Cristo sparisse di nuovo, ma questa volta chiamato dal suo papà vero, quel Dio che noi bambini avevamo timore al solo nominarlo.

Durante il “tempo ordinario” della Chiesa, il sacerdote alla domenica continuava con i Vangeli e le letture che lo riguardavano come se niente fosse, ma io nei banchi della chiesa di Sant’Agabio non mi davo pace e mi chiedevo dove fosse finito. Poi verso l’autunno, alla prima domenica di dicembre o anche all’ultima di novembre, incominciava l’Avvento e Gesù doveva ancora nascere. Mi mancava sempre un pezzo, ma cominciavo a capire che la storia era circolare e si sarebbe ripetuta sempre così.

Naturalmente noi bambini, contravvenendo a quello che ci diceva don Carlo, consideravamo il Natale più importante della Pasqua, non tanto perché considerassimo il nascere più credibile del risorgere, ma per il fatto che era praticamente l’unica occasione dell’anno nella quale ricevevamo un giocattolo in regalo. La Pasqua comunque tornava come il Natale, e io il Venerdì santo me lo immaginavo sempre come un oscuro giorno di pioggia (e spesso lo era, perché una volta in primavera pioveva davvero) e passavo poi un paio di giorni in ansia perché mi chiedevo se Gesù ce l’avrebbe fatta, anche questa volta, a resuscitare.

Da quando sono bambino (ma mi dicono anche prima), ci è sempre riuscito. Il problema vero è che oggi per i bambini, per i loro papà e per le loro mamme, la Pasqua è un ponte con il mare, le città d’arte e le piste da sci e nessuno è più sconvolto da quell’uomo sulla Croce (eppure ce ne sono ancora tantissimi intorno a noi) e tantomeno è più in ansia nell’attesa di sapere se anche questa volta Gesù ce la farà a resuscitare. Comunque ce la farà, ve lo dico io. Buona Pasqua a tutti.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.