Dalla piazza all’Europa: il momento di scegliere

L’immagine di piazza del Popolo e di tante altre in Europa e nel Paese gremite da migliaia di persone, scese in strada per affermare la necessità di un’Europa politica e più forte, è di quelle che segnano un’epoca. “Una piazza per l’Europa” non è stata solo una manifestazione: è stata l’espressione di un bisogno profondo, quello di costruire finalmente un popolo europeo. Un popolo che oggi non esiste ancora se non in forma embrionale, disperso tra identità nazionali che resistono e istituzioni europee che spesso appaiono fredde, tecnocratiche, incapaci di accendere un vero sentimento di appartenenza.

La storia ci insegna che l’Europa si fa nelle crisi. La piazza di Roma è figlia di questo tempo, un tempo in cui l’ordine mondiale si ridefinisce e chiede all’Unione Europea di scegliere da che parte stare. Non possiamo più permetterci ambiguità: l’alternativa all’integrazione politica è il declino geopolitico. Certo, si possono contestare i metodi, le modalità con cui si procede, ma non si può negare che l’unica strada possibile sia quella di un’integrazione che porti verso un’Europa veramente politica. Che vuol dire politiche fiscali comuni, politica estera comune e anche una difesa comune capace di rispondere al riassetto dell’ordine mondiale a cui stiamo assistendo dopo la rielezione di Trump e l’invasione russa dell’Ucraina.

Il rischio, però, è che tutto si fermi alla dimensione ideale. Le rivendicazioni della piazza sono legittime, ma senza una riforma dei trattati europei rimangono auspici privi di concretezza. Il problema centrale è la governance dell’Unione: il sistema attuale, con il vincolo dell’unanimità in politica estera e il metodo intergovernativo che rallenta ogni decisione strategica, è inadatto alle sfide del presente. Se vogliamo un’Europa capace di agire nel mondo, servono istituzioni più forti e democratiche, capaci di prendere decisioni rapide ed efficaci. In assenza di questo salto di qualità, le richieste della piazza rischiano di rimanere slogan privi di peso reale.

Un esempio emblematico è il tema della difesa comune. Senza una politica estera unitaria, la creazione di un esercito europeo rischia di essere un’illusione: con quale strategia lo useremmo? Con quali obiettivi? La difesa è necessaria, ma senza una visione comune rischiamo di costruire un gigante militare dai piedi d’argilla. L’Europa deve imparare a parlare con una voce sola sulla scena internazionale, perché solo così può diventare un attore globale autorevole. Questo richiede non solo forza militare, ma anche un assetto istituzionale capace di esprimere una volontà politica chiara. La necessità di un cambiamento si avverte anche nella dimensione economica. La competizione globale impone una capacità di risposta rapida ed efficace, che l’attuale assetto europeo non garantisce. Senza un’Europa più integrata, rischiamo di essere schiacciati tra le grandi potenze economiche e politiche del mondo. Serve una politica industriale comune, così come servono investimenti coordinati in tecnologia e innovazione. La crescita economica dell’Unione non può essere lasciata in balia delle singole decisioni nazionali, ma deve diventare un obiettivo condiviso.

In questo scenario, le piazze di oggi sono un segnale importante, ma non sufficiente. Serve tradurre quell’energia in un percorso politico chiaro. La storia dell’integrazione europea è fatta di crisi che diventano occasioni per avanzare. Ora il punto è capire se vogliamo davvero cogliere questa opportunità, oppure rassegnarci a un’Europa condannata alla marginalità. Il tempo delle scelte è arrivato, e non possiamo più rimandare. Se davvero vogliamo costruire un’Europa politica, dobbiamo essere consapevoli delle difficoltà. Il cammino dell’integrazione non è mai stato lineare, ma sempre frutto di conflitti e compromessi. Ma è proprio nelle difficoltà che si forgia l’identità di un popolo. La politica europea deve dimostrarsi all’altezza di questa domanda storica.

Il sogno europeo non può restare confinato nei trattati o nelle dichiarazioni d’intenti. Deve diventare un progetto reale, vissuto dai cittadini, capace di dare risposte alle sfide del presente. E questa è la vera sfida dei prossimi anni: trasformare la piazza in una direzione politica chiara, capace di portare l’Europa oltre le sue divisioni e verso una nuova fase della sua storia.

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Luca Galuppini

24 anni, laureato con lode in Politics, Philosophy and Public Affairs presso l'Università degli Studi di Milano, lavora come addetto stampa.

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Dalla piazza all’Europa: il momento di scegliere

L’immagine di piazza del Popolo e di tante altre in Europa e nel Paese gremite da migliaia di persone, scese in strada per affermare la necessità di un’Europa politica e più forte, è di quelle che segnano un’epoca. “Una piazza per l’Europa” non è stata solo una manifestazione: è stata l’espressione di un bisogno profondo, quello di costruire finalmente un popolo europeo. Un popolo che oggi non esiste ancora se non in forma embrionale, disperso tra identità nazionali che resistono e istituzioni europee che spesso appaiono fredde, tecnocratiche, incapaci di accendere un vero sentimento di appartenenza.

La storia ci insegna che l’Europa si fa nelle crisi. La piazza di Roma è figlia di questo tempo, un tempo in cui l’ordine mondiale si ridefinisce e chiede all’Unione Europea di scegliere da che parte stare. Non possiamo più permetterci ambiguità: l’alternativa all’integrazione politica è il declino geopolitico. Certo, si possono contestare i metodi, le modalità con cui si procede, ma non si può negare che l’unica strada possibile sia quella di un’integrazione che porti verso un’Europa veramente politica. Che vuol dire politiche fiscali comuni, politica estera comune e anche una difesa comune capace di rispondere al riassetto dell’ordine mondiale a cui stiamo assistendo dopo la rielezione di Trump e l’invasione russa dell’Ucraina.

Il rischio, però, è che tutto si fermi alla dimensione ideale. Le rivendicazioni della piazza sono legittime, ma senza una riforma dei trattati europei rimangono auspici privi di concretezza. Il problema centrale è la governance dell’Unione: il sistema attuale, con il vincolo dell’unanimità in politica estera e il metodo intergovernativo che rallenta ogni decisione strategica, è inadatto alle sfide del presente. Se vogliamo un’Europa capace di agire nel mondo, servono istituzioni più forti e democratiche, capaci di prendere decisioni rapide ed efficaci. In assenza di questo salto di qualità, le richieste della piazza rischiano di rimanere slogan privi di peso reale.

Un esempio emblematico è il tema della difesa comune. Senza una politica estera unitaria, la creazione di un esercito europeo rischia di essere un’illusione: con quale strategia lo useremmo? Con quali obiettivi? La difesa è necessaria, ma senza una visione comune rischiamo di costruire un gigante militare dai piedi d’argilla. L’Europa deve imparare a parlare con una voce sola sulla scena internazionale, perché solo così può diventare un attore globale autorevole. Questo richiede non solo forza militare, ma anche un assetto istituzionale capace di esprimere una volontà politica chiara. La necessità di un cambiamento si avverte anche nella dimensione economica. La competizione globale impone una capacità di risposta rapida ed efficace, che l’attuale assetto europeo non garantisce. Senza un’Europa più integrata, rischiamo di essere schiacciati tra le grandi potenze economiche e politiche del mondo. Serve una politica industriale comune, così come servono investimenti coordinati in tecnologia e innovazione. La crescita economica dell’Unione non può essere lasciata in balia delle singole decisioni nazionali, ma deve diventare un obiettivo condiviso.

In questo scenario, le piazze di oggi sono un segnale importante, ma non sufficiente. Serve tradurre quell’energia in un percorso politico chiaro. La storia dell’integrazione europea è fatta di crisi che diventano occasioni per avanzare. Ora il punto è capire se vogliamo davvero cogliere questa opportunità, oppure rassegnarci a un’Europa condannata alla marginalità. Il tempo delle scelte è arrivato, e non possiamo più rimandare. Se davvero vogliamo costruire un’Europa politica, dobbiamo essere consapevoli delle difficoltà. Il cammino dell’integrazione non è mai stato lineare, ma sempre frutto di conflitti e compromessi. Ma è proprio nelle difficoltà che si forgia l’identità di un popolo. La politica europea deve dimostrarsi all’altezza di questa domanda storica.

Il sogno europeo non può restare confinato nei trattati o nelle dichiarazioni d’intenti. Deve diventare un progetto reale, vissuto dai cittadini, capace di dare risposte alle sfide del presente. E questa è la vera sfida dei prossimi anni: trasformare la piazza in una direzione politica chiara, capace di portare l’Europa oltre le sue divisioni e verso una nuova fase della sua storia.

© 2025 La Voce di Novara
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Luca Galuppini

24 anni, laureato con lode in Politics, Philosophy and Public Affairs presso l'Università degli Studi di Milano, lavora come addetto stampa.