«Il Parlamento è come la parete portante di una casa. Ecco perchè voterò no»

Quattro anni fa, in occasione del referendum sulla riforma costituzionale proposta dall’allora premier Matteo Renzi, si era espresso per il “sì”. Oggi, altrettanto convintamente, in vista del possibile taglio dei parlamentari, ha abbracciato la posizione del “no”. Massimo Cavino, docente di Istituzioni di Diritto pubblico all’Università del Piemonte Orientale, illustra il suo pensiero sulla consultazione del 20 e 21 settembre prossimi, cercando di spiegare tanti aspetti forse sconosciuti ai più. Il primo quesito è ovviamente il perché di questo cambio di posizione. Il progetto di Renzi secondo alcuni mirava a stravolgere quasi l’intera seconda parte della Costituzione; la riforma di oggi, in fondo, tocca unicamente tre articoli.

«Nel 2016 esisteva un progetto organico – afferma Cavino – un intervento che andava a rivedere tutti gli aspetti centrali dello Stato e del regionalismo, che si concentrava su due ambiti: il procedimento legislativo e il riparto di competenze fra Stato e Regioni. La sua complessità era collegata, perché immaginava il nuovo Senato come una espressione delle autonomie territoriali, sull’esempio della seconda camera tedesca, il Bundesrat. Ma per capire questo ci si deve prima confrontarsi sulla complessità della Grundgesetz (la Costituzione tedesca) per quanto riguarda il procedimento legislativo. La nostra è una Costituzione piuttosto lineare, ma se si introducono elementi nuovi inevitabilmente si complica. Questo non vuol dire che non possa funzionare, perché in Germania funziona».

 

 

Al centro del dibattito, però, si parla del numero dei parlamentari, senza dimenticare alcuni aspetti come quelli legati alle figure dei senatori a vita, piuttosto che al ricalcolo dei delegati regionali in occasione dell’elezione del nuovo inquilino del Quirinale.
Rispetto all’attuale, il “peso” delle Regioni diventerebbe più significativo. Dal punto di vista politico istituzionale si potrebbe anche essere d’accordo sul fatto che il rappresentante dell’unità nazionale venga eletto con una significativa presenza delle Regioni, ma abbiamo riflettuto? Siamo d’accordo oppure no? La riforma su questo passaggio è molto lineare. La cosa che preoccupa dal punto di vista tecnico è l’irrilevanza nel dibattito di tutte le implicazioni che un intervento di questo tipo può comportare

Si è detto che questa riforma tocca unicamente tre articoli della Costituzione, ma di fatto è organica perché prende in esame un organo come il Parlamento.
Un organo che nella nostra Costituzione è centrale. Il fatto che si sia andati in questa direzione giustificando il contenimento della spesa pubblica (meno parlamentari, meno costi) deve farci capire che forse gli sprechi sono altri. Inoltre, la rappresentanza concepita dai costituenti aveva in mente un Paese come il nostro, molto plurale, e quindi che deve dare tante risposte anche a territori che rischierebbero di vedersi ridotta la rappresentanza. Ridisegnare i collegi sarà una partita difficile.

Altro argomento trattato, l’efficienza: meno parlamentari, lavori più veloci. E’ vero?
Il nostro sistema prevede il bicameralismo perfetto: due assemblee che fanno le stesse cose ma i componenti di una sono il doppio della seconda. L’efficienza si può ottenere con strumenti diversi, come ad esempio allineare i regolamenti di Palazzo Madama e Montecitorio.

In termini generali si può parlare di riforma isolata oppure un pezzo di qualcos’altro?
Senza scomodare il passato remoto, solo in quello recente di questa legislatura, il “Contratto di Governo” fra Lega e Movimento 5 Stelle era la parte di un disegno più ampio che prevedeva l’abolizione del mandato imperativo e un eventuale passaggio con il voto dei cittadini nell’approvazione delle leggi. Sono tutti elementi che toccano la centralità del Parlamento, organo sul quale è costruito tutto il nostro assetto istituzionale. Tutte le riforme possono essere legittime, se fatte seguendo le forme e i limiti previsti dal primo articolo della Costituzione.

Perché è dunque orientato a votare “no”?
Non sono convinto della consapevolezza generale rispetto a tutte le implicazioni di cui stiamo parlando. Credo che sia un tema troppo delicato per darlo per scontato o per concedere un’apertura di credito alle future classi politiche. Per la stessa ragione per cui quattro anni fa ero favorevole a “toccare” tanti articoli, ora sono contrario a toccarne pochi ma fondamentali senza che ci siano le necessarie implicazioni valutate adeguatamente.

Cavino conclude il suo ragionamento paragonando il Parlamento alla parete portante di un appartamento: «Quella non la possiamo eliminare per ottenere una stanza ampia anziché due piccole. Possiamo aprirci una porta, ma sarebbe meglio puntellare da qualche altra parte. Il ragionamento di fondo è questo. Stiamo togliendo superficie alla parete portante senza preoccuparci di mettere altri puntelli».

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«Il Parlamento è come la parete portante di una casa. Ecco perchè voterò no»

Quattro anni fa, in occasione del referendum sulla riforma costituzionale proposta dall’allora premier Matteo Renzi, si era espresso per il “sì”. Oggi, altrettanto convintamente, in vista del possibile taglio dei parlamentari, ha abbracciato la posizione del “no”. Massimo Cavino, docente di Istituzioni di Diritto pubblico all’Università del Piemonte Orientale, illustra il suo pensiero sulla consultazione del 20 e 21 settembre prossimi, cercando di spiegare tanti aspetti forse sconosciuti ai più. Il primo quesito è ovviamente il perché di questo cambio di posizione. Il progetto di Renzi secondo alcuni mirava a stravolgere quasi l’intera seconda parte della Costituzione; la riforma di oggi, in fondo, tocca unicamente tre articoli.

«Nel 2016 esisteva un progetto organico – afferma Cavino – un intervento che andava a rivedere tutti gli aspetti centrali dello Stato e del regionalismo, che si concentrava su due ambiti: il procedimento legislativo e il riparto di competenze fra Stato e Regioni. La sua complessità era collegata, perché immaginava il nuovo Senato come una espressione delle autonomie territoriali, sull’esempio della seconda camera tedesca, il Bundesrat. Ma per capire questo ci si deve prima confrontarsi sulla complessità della Grundgesetz (la Costituzione tedesca) per quanto riguarda il procedimento legislativo. La nostra è una Costituzione piuttosto lineare, ma se si introducono elementi nuovi inevitabilmente si complica. Questo non vuol dire che non possa funzionare, perché in Germania funziona».

 

 

Al centro del dibattito, però, si parla del numero dei parlamentari, senza dimenticare alcuni aspetti come quelli legati alle figure dei senatori a vita, piuttosto che al ricalcolo dei delegati regionali in occasione dell’elezione del nuovo inquilino del Quirinale.
Rispetto all’attuale, il “peso” delle Regioni diventerebbe più significativo. Dal punto di vista politico istituzionale si potrebbe anche essere d’accordo sul fatto che il rappresentante dell’unità nazionale venga eletto con una significativa presenza delle Regioni, ma abbiamo riflettuto? Siamo d’accordo oppure no? La riforma su questo passaggio è molto lineare. La cosa che preoccupa dal punto di vista tecnico è l’irrilevanza nel dibattito di tutte le implicazioni che un intervento di questo tipo può comportare

Si è detto che questa riforma tocca unicamente tre articoli della Costituzione, ma di fatto è organica perché prende in esame un organo come il Parlamento.
Un organo che nella nostra Costituzione è centrale. Il fatto che si sia andati in questa direzione giustificando il contenimento della spesa pubblica (meno parlamentari, meno costi) deve farci capire che forse gli sprechi sono altri. Inoltre, la rappresentanza concepita dai costituenti aveva in mente un Paese come il nostro, molto plurale, e quindi che deve dare tante risposte anche a territori che rischierebbero di vedersi ridotta la rappresentanza. Ridisegnare i collegi sarà una partita difficile.

Altro argomento trattato, l’efficienza: meno parlamentari, lavori più veloci. E’ vero?
Il nostro sistema prevede il bicameralismo perfetto: due assemblee che fanno le stesse cose ma i componenti di una sono il doppio della seconda. L’efficienza si può ottenere con strumenti diversi, come ad esempio allineare i regolamenti di Palazzo Madama e Montecitorio.

In termini generali si può parlare di riforma isolata oppure un pezzo di qualcos’altro?
Senza scomodare il passato remoto, solo in quello recente di questa legislatura, il “Contratto di Governo” fra Lega e Movimento 5 Stelle era la parte di un disegno più ampio che prevedeva l’abolizione del mandato imperativo e un eventuale passaggio con il voto dei cittadini nell’approvazione delle leggi. Sono tutti elementi che toccano la centralità del Parlamento, organo sul quale è costruito tutto il nostro assetto istituzionale. Tutte le riforme possono essere legittime, se fatte seguendo le forme e i limiti previsti dal primo articolo della Costituzione.

Perché è dunque orientato a votare “no”?
Non sono convinto della consapevolezza generale rispetto a tutte le implicazioni di cui stiamo parlando. Credo che sia un tema troppo delicato per darlo per scontato o per concedere un’apertura di credito alle future classi politiche. Per la stessa ragione per cui quattro anni fa ero favorevole a “toccare” tanti articoli, ora sono contrario a toccarne pochi ma fondamentali senza che ci siano le necessarie implicazioni valutate adeguatamente.

Cavino conclude il suo ragionamento paragonando il Parlamento alla parete portante di un appartamento: «Quella non la possiamo eliminare per ottenere una stanza ampia anziché due piccole. Possiamo aprirci una porta, ma sarebbe meglio puntellare da qualche altra parte. Il ragionamento di fondo è questo. Stiamo togliendo superficie alla parete portante senza preoccuparci di mettere altri puntelli».

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