Teresa Ghobert era una discendente in linea diretta di Philippe Ghobert, marchese di Maastricht, che si era stabilito a Roma nel 1575.1 Nel 1871 aveva sposato nella chiesa dei Ss. Vincenzo e Attanasio, situata nel quartiere Trevi, Francesco de Gregori, nato a Roma nel 1835.2 Dal loro matrimonio nacquero quattro figli, tra cui Luigi,3 bibliotecario eccelso che ha segnato in profondità la storia della nostra cultura, la cui rilevanza è legata principalmente, ma non solo, all’introduzione in Italia del modello delle Public libraries anglosassoni e alla correlata riflessione, ancora tutta da scoprire, sul ruolo svolto da tale istituzione nel radicamento del sistema democratico in quei paesi e, conseguentemente, sul nesso che lega nel nostro paese le carenze nella cura delle infrastrutture bibliotecarie e le carenze del tessuto civile: «l’intima connessione che esiste tra un piccolo problema ignorato di bonifica civica e i grandi problemi del nostro domani di nazione rigenerata alla vita civile.»4
Queste vicende mi sono tornate alla mente sfogliando il volume appena arrivato in libreria per i tipi di Giunti che raccoglie i testi delle canzoni di Francesco De5 Gregori, nato a Roma anch’egli, ma nel 1951. Luigi, infatti, era il nonno di Francesco e le remote radici olandesi erano state indicate come decisive nel plasmare i tratti del suo carattere da un altro grande bibliotecario, Francesco Barbieri, proprio all’inizio dell’intenso ritratto che gli dedicò qualche tempo dopo la sua morte, avvenuta nell’aprile del 1947: «L’aspetto di Luigi de Gregori era quello di un placido signore di fine e cordiale affabilità, di una natura pacatamente riservata, forse anche venata d’indolenza romana: una certa placidità olandese, d’antica sopravvivenza nel suo sangue, era facilmente riconoscibile in lui e s’intonava al suo temperamento romano dandogli una sfumatura di singolarità.»6
Anche le canzoni di Francesco De Gregori sono permeate da una sfumatura di singolarità e chissà che l’osservazione fatta da Barbieri a proposito del carattere del nonno non sia anche una chiave per aiutarci a comprenderne una delle radici. Singolarità che ora il volume curato da Enrico Deregibus ci permette di avvicinare ulteriormente, attraverso la lettura di uno degli elementi, quello del testo, che le compongono. E non una lettura qualunque, perché il grande merito di Deregibus è stato quello di essere riuscito a convincere De Gregori a stabilire la lezione autoriale dei suoi testi. Si tratta di un avvenimento di assoluto rilievo per la cultura italiana, perché mette a disposizione degli ascoltatori uno strumento indispensabile per penetrare a fondo l’arte di uno degli autori più significativi del nostro tempo. Non così, infatti, era stato per l’altra raccolta degna di nota – naturalmente il numero di versioni improbabili è elevatissimo, specie sul web – dei testi di De Gregori, pubblicata da Einaudi nella collana Stile libero con il titolo Battere e levare nel 2004, in cui l’autore romano si era limitato ad approvare le lezioni stabilite dalla curatrice Valentina Pattavina.
Nella forma canzone il rapporto che corre tra il testo scritto e le parole come vengono cantate può essere ricondotto a quello che corre tra lo spartito e la musica che viene eseguita. Nella maggior parte dei casi, non disponiamo né dell’uno, né dell’altro, perché il processo creativo che porta alla realizzazione di una canzone è estremamente fluido e complesso e difficilmente lascia tracce codificate di tutti i passaggi svolti. Nemmeno i testi pubblicati sui booklet, quando esistono, possono essere considerati attendibili, perché non sono oggetto di specifica cura editoriale. Non di rado tali versioni sono imprecise e non corrispondono ai versi cantati, vuoi per sciatteria, vuoi perché a volte a copertine già stampate vengono introdotte modifiche, anche sostanziali, alle canzoni. Ma soprattutto una canzone vive nel tempo, e finché la canta l’autore non ha mai finito di esprimere tutti i suoi potenziali significati. Ragion per cui, la versione discografica è solo una delle possibili versioni di una canzone, non è la canzone. La canzone è una forma espressiva legata a doppio filo all’oralità e all’esecuzione; anzi, si può dire che il suo fascino risieda proprio in queste sue caratteristiche di mobilità e inafferrabilità. Perciò, quando un autore stabilisce il testo delle sue canzoni, ci offre un punto di riferimento indispensabile per immergerci in questo flusso. Quando lo stabilisce per tutto il suo canzoniere, ci offre una mappa per navigare nel suo mondo creativo. Se è vero, infatti, che le parole vengono scelte per il suono che producono nel modo in cui verranno cantate su una certa melodia e con certi strumenti, nello stesso tempo, sono scelte per la loro capacità significante, non semplicemente per inserirsi in una struttura musicale, soprattutto in quelle che i francesi chiamano chanson à texte, la canzone come testo cantato secondo la definizione di Fabrizio De André.
Proprio per questi motivi sommariamente richiamati, la formula editoriale scelta per allestire il volume appanna leggermente la nitidezza del valore, notevole, dell’impresa culturale. Come segnalato dal sottotitolo, La storia delle canzoni, ogni canzone, infatti, è affiancata da una lunga nota esplicativa, curata dallo stesso Deregibus, che eccede quasi sempre la pura “storia” delle canzoni. Ma questa sezione finisce, fatalmente, vista l’autorevolezza dell’estensore delle note, per essere una lettura fortemente connotata, che ostacola non poco la relazione tra il lettore e il testo. Tanto più che non poche volte Deregibus non riesce a resistere alla tentazione di esprimere il suo giudizio sul valore delle canzoni, che, come tutti i giudizi, non può essere che parziale. E anche se ricorre in modo massiccio nella costruzione di questo apparato alle interviste rilasciate da De Gregori nel corso degli anni per commentare le sue canzoni, tale ricorso è comunque mediato dalle sue scelte e dai suoi punti di vista. Tra l’altro, non è affatto detto che un autore sia il miglior interprete del suo lavoro. Anche la scelta di utilizzare quale criterio intorno a cui organizzare il materiale le track list dei dischi, senza distinguere tra autore e interprete, inserendo i commenti anche delle incisioni di canzoni di altri autori, pur senza riportarne il testo, si muove nella stessa direzione di attenuare il valore del nucleo portante dell’iniziativa. Così come la scelta di indicare sotto a ogni testo tutte le versioni incise o segnalarne le cover migliori, naturalmente sempre a giudizio di Deregibus. E forse avrebbe contribuito a restituire in modo ancor più pregnante la figura autoriale lo scioglimento della sezione “Canzoni sparse”, ricollocando ciascuna canzone all’interno del ciclo compositivo originario, sul modello dell’edizione Simon&Schuster delle Lyrics di Dylan. Ma, soprattutto, le canzoni non hanno bisogno di essere spiegate, tanto meno è necessario conoscere la storia che le ha generate per immergersi nel mondo cui dànno vita. Commenti, letture, interpretazioni, ricostruzioni storiche, notazioni sono tutti esercizi essenziali per situare l’opera di un autore nel contesto culturale in cui si è formata e per restituirne il valore, ma sono esercizi altri rispetto alla forza del testo. Anzi, sono tanto più utili, quanto più riescono a mantenere questa distanza critica.
Ma, in ogni caso, quello che conta è avere finalmente a disposizione una mappa per addentrarci nel mondo creativo di De Gregori. I testi impaginati uno dopo l’altro permettono di seguire l’evoluzione della sua scrittura, il variare e il ricorrere dei temi, dando la misura della profondità di un percorso artistico che ha saputo definire nel tempo uno sguardo sul mondo. È sempre difficile, e probabilmente arbitrario, inchiodare un autore così significativo a una sola formula critica, ma, se dovessimo individuare la cifra di questo sguardo, la ritroveremmo nella serenità di chi sa guardare con consapevolezza la vita per quello che è, per come si manifesta in tutti i suoi aspetti, descrivendo e riflettendo pur sapendo di non riuscire a dar conto di tutto, ma non per questo pensando di dover rinunciare a continuare a cercare di mettere insieme i frammenti dell’esperienza. L’inquietudine della ricerca temperata dalla consapevolezza che l’inafferrabilità della condizione umana è l’orizzonte entro il quale ci si deve imparare a muovere. Per questo, credo, le canzoni di De Gregori trasmettono un senso di risolto, anche quando scandagliano i drammi laceranti dell’uomo contemporaneo. Un equilibrio sempre mobile, da cui scaturisce il fascino delle sue canzoni. La lettura dei testi permette di comprendere quanto tale equilibrio sia dovuto alla qualità della scrittura, alla sapienza nell’uso della parola quale «filo ideale per collegare immagini e accorpare simboli»,7 e alla capacità di costruire metafore accostando «figure lontane e improvvise.»8 Ma sia anche dovuto all’angolo visuale scelto per guardare il mondo. È indubbio che il canzoniere di De Gregori sia attraversato da temi civili e politici, ma la sua lunga consuetudine con la storia, intesa proprio come disciplina, gli permette di maneggiarli con una capacità di lettura estremamente raffinata, che affonda le sue radici in una prospettiva che non si lascia dominare dal fascino delle astrazioni. Nell’intervista rilasciata a Luca Valtorta per presentare l’uscita del volume,9 De Gregori termina con un lamento – scherzoso, ma neanche troppo – riguardo ai temi affrontati: «abbiamo parlato di storia, di politica, di cultura, io però ho fatto anche tantissime canzoni d’amore. Perché nessuno mi chiede mai di quelle?»10 Che, invece, nel canzoniere di De Gregori sono profondamente intrecciate con le canzoni, in senso molto lato, politiche. Perché la storia la fanno gli uomini e le donne. E gli uomini e le donne vivono le loro vite all’interno delle costrizioni e dei limiti della storia. Le sue canzoni d’amore sono così belle proprio perché sono innervate da questa consapevolezza, e le canzoni civili mantengono il loro valore nel tempo perché non dimenticano mai che non esistono fini del vivere associato che possano trascendere le singole individualità. Canzoni che curvano i pianeti, mentre disegnano la linea della vita.
Francesco De Gregori
I testi. La storia delle canzoni
a cura di Enrico Deregibus
Giunti, Firenze 2020
Note
1 - Maurizio de Gregori, De Gregori. Cinquecento anni di storia della nostra famiglia, Roma 2016, pp. 83-84. 2 - Ibi, p. 39. 3 - Ibi, p. 40. 4 - Luigi de Gregori, Le biblioteche popolari, in Id., La mia battaglia per le biblioteche, Aib, Roma 1980, p. 161. Originariamente pubblicato in “Accademie e biblioteche d’Italia”, 25 (1957). 5 - Le ricerche svolte sembrano indicare che la grafia De Gregori con la D maiuscola sia stata adottata da Francesco quando ha incominciato a pubblicare. In famiglia si è sempre adottata e si adotta ancora la grafia de Gregori, che rimanda ad ascendenze nobiliari, peraltro per ora non accertate. 6 - Francesco Barbieri, Luigi de Gregori, in Id., Biblioteche in Italia, La Nuova Italia, Firenze 1981, p. 271, originariamente pubblicato in Studi di bibliografia e di argomento romano in memoria di Luigi de Gregori, Palombi, Roma 1949. 7 - Roberto Vecchioni, La canzone d’autore in Italia, in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti appendice 2000, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2000, p. 281. 8 - Ibidem. 9 - Luca Valtorta, De Gregori. La storia siete voi, in “Robinson”, n. 199, 26 settembre 2020, pp. 2-5. 10 - Ibi, p. 5.