Il Novara del coraggio e della passione

Gli Azzurri sono tornati in C. Presto sarà tempo di pensare al futuro. Oggi è solo il tempo della festa, di una festa che la Novara calcistica si meritava tanto

Il Novara è tornato in serie C, al primo tentativo, e lo ha fatto dominando un campionato, quello di serie D, che non era né scontato né semplice pensare di vincere. Lo dice la storia di una categoria che ha “ingabbiato” per anni altre realtà passate dalle stesse sabbie mobili che hanno avvolto la scorsa estate la Novara calcistica.

Lo dice anche, per chi conosce un po’ le dinamiche dello sport, la storia della stagione: i pochi giorni per allestire una rosa competitiva andando a pescare il meglio di quello che era ancora libero (o “liberabile”…) per la categoria, l’inizio delle competizioni ufficiali dopo pochi giorni di allenamento e senza una vera e propria preparazione atletica. I calciatori, per intenderci, si sono conosciuti una partita alla volta, senza quelle amichevoli estive che servono ad affinare intesa e automatismi.

Eppure, giusto il tempo di dare un po’ di olio ai nuovi ingranaggi, e la squadra ha iniziato a volare, trascinata dai suoi due “eroi”, dalle storie tanto diverse quanto uguali nell’essere decisivi per i colori azzurri, Gonzalez e Vuthaj. Pablo è stata la pietra angolare su cui costruire la squadra, Vuthaj un goleador implacabile da 31 gol (e ci sono ancora due partite da giocare) in campionato. Chissà se il Novara del futuro, in C, potrà contare ancora su entrambi: verrà presto il momento di pensarci e di definirlo.

Attorno a loro, una squadra perfettamente mixata tra esperti di categoria, o di categorie superiori, e giovani in rampa di lancio, guidata da un tecnico, Marchionni, entrato di diritto tra quelli che hanno scritto capitoli importanti della storia moderna del club.

Quello maturato oggi, però, è soprattutto il successo di una città intera, che negli scorsi mesi ha ritrovato un’unità di intenti che in campo calcistico mancava da tempo. Questo deve essere il patrimonio più grande da cui ripartire, anche per evitare di ripetere percorsi che hanno portato nel recente passato a divisioni evitabili e controproducenti. Quell’unità di intenti sarà infatti fondamentale quando arriveranno, come è naturale che possa accadere, momenti negativi a livello sportivo e farà la differenza.

Quello di oggi, però, è soprattutto il successo di quelle persone che hanno l’azzurro nel cuore e sulla pelle. Sempre. Nella buona e nella cattiva sorte, come in ogni storia d’amore che si rispetti. Perché se ai tempi della cavalcata vincente in B o della stagione in serie A (temporalmente, tra il 2010 e il 2012) “Forza Novara” era la frase più pronunciata in città (ricordo ancora, con un sorriso, la mia vicina di casa che mai aveva seguito il calcio e che puntualmente entrava al bar al mattino scandendo “Un caffè, una brioche al cioccolato e forza Novara!”) e la maglia azzurra era un capo presente un po’ in tutti i guardaroba, negli ultimi anni le grandi delusioni (fino a quella della scorsa estate, la più dolorosa) avevano fatto “selezione”.

Gli eventi avevano, insomma, riportato allo stadio i soli irriducibili, quelli che c’erano (e ci sono… e ci saranno…) sulle tribune e in curva al Piola sempre e comunque. Per amore, non per moda. A guardia di una passione, un po’ come gli abitanti del villaggio di Asterix. Ne conosco tanti e ricordo la loro rabbia, le loro paure, la loro delusione in estate. Oggi mi piace pensare che gridino un po’ più forte di tutti gli altri, finalmente di gioia. Caro ingegner Ferranti, li tenga stretti più di tutti (quelli che lavorano per il club, quelli che coordinano i gruppi organizzati e anche i tifosi “semplici”), perché nei momenti difficili saranno gli unici su cui potrà sempre e davvero contare e non è poco.

Presto sarà tempo di pensare al futuro. Oggi è solo il tempo della festa, di una festa che la Novara calcistica si meritava tanto.

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Lo dice anche, per chi conosce un po’ le dinamiche dello sport, la storia della stagione: i pochi giorni per allestire una rosa competitiva andando a pescare il meglio di quello che era ancora libero (o “liberabile”…) per la categoria, l’inizio delle competizioni ufficiali dopo pochi giorni di allenamento e senza una vera e propria preparazione atletica. I calciatori, per intenderci, si sono conosciuti una partita alla volta, senza quelle amichevoli estive che servono ad affinare intesa e automatismi.

Eppure, giusto il tempo di dare un po’ di olio ai nuovi ingranaggi, e la squadra ha iniziato a volare, trascinata dai suoi due “eroi”, dalle storie tanto diverse quanto uguali nell’essere decisivi per i colori azzurri, Gonzalez e Vuthaj. Pablo è stata la pietra angolare su cui costruire la squadra, Vuthaj un goleador implacabile da 31 gol (e ci sono ancora due partite da giocare) in campionato. Chissà se il Novara del futuro, in C, potrà contare ancora su entrambi: verrà presto il momento di pensarci e di definirlo.

Attorno a loro, una squadra perfettamente mixata tra esperti di categoria, o di categorie superiori, e giovani in rampa di lancio, guidata da un tecnico, Marchionni, entrato di diritto tra quelli che hanno scritto capitoli importanti della storia moderna del club.

Quello maturato oggi, però, è soprattutto il successo di una città intera, che negli scorsi mesi ha ritrovato un’unità di intenti che in campo calcistico mancava da tempo. Questo deve essere il patrimonio più grande da cui ripartire, anche per evitare di ripetere percorsi che hanno portato nel recente passato a divisioni evitabili e controproducenti. Quell’unità di intenti sarà infatti fondamentale quando arriveranno, come è naturale che possa accadere, momenti negativi a livello sportivo e farà la differenza.

Quello di oggi, però, è soprattutto il successo di quelle persone che hanno l’azzurro nel cuore e sulla pelle. Sempre. Nella buona e nella cattiva sorte, come in ogni storia d’amore che si rispetti. Perché se ai tempi della cavalcata vincente in B o della stagione in serie A (temporalmente, tra il 2010 e il 2012) “Forza Novara” era la frase più pronunciata in città (ricordo ancora, con un sorriso, la mia vicina di casa che mai aveva seguito il calcio e che puntualmente entrava al bar al mattino scandendo “Un caffè, una brioche al cioccolato e forza Novara!”) e la maglia azzurra era un capo presente un po’ in tutti i guardaroba, negli ultimi anni le grandi delusioni (fino a quella della scorsa estate, la più dolorosa) avevano fatto “selezione”.

Gli eventi avevano, insomma, riportato allo stadio i soli irriducibili, quelli che c’erano (e ci sono… e ci saranno…) sulle tribune e in curva al Piola sempre e comunque. Per amore, non per moda. A guardia di una passione, un po’ come gli abitanti del villaggio di Asterix. Ne conosco tanti e ricordo la loro rabbia, le loro paure, la loro delusione in estate. Oggi mi piace pensare che gridino un po’ più forte di tutti gli altri, finalmente di gioia. Caro ingegner Ferranti, li tenga stretti più di tutti (quelli che lavorano per il club, quelli che coordinano i gruppi organizzati e anche i tifosi “semplici”), perché nei momenti difficili saranno gli unici su cui potrà sempre e davvero contare e non è poco.

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