Le Olimpiadi di Parigi raccontate in prima persona da quattro novaresi che hanno avuto modo, seppur in vesti diverse, di prendervi parte. Questo il tema dell’ultima conviviale del Panathlon, tenutasi la scorsa settimana al “Piazzano”.
Introdotti dal presidente del Panathlon Carlo Accornero, i protagonisti, in ordine volutamente “sparso”, sono la giudice della ginnastica artistica Donatella Sacchi, il team manager della stessa squadra italiana Massimo Contaldo, il sacerdote don Franco Finocchio e l’atleta paralimpico Roberto Lazzaro.
Per Sacchi, unica donna del gruppo, in passato ginnasta e oggi presidente del Comitato tecnico di ginnastica artistica (quindi giudice arbitro), quella tenutasi nello scorso mese di agosto nella capitale francese è stata la sua settima olimpiade. Un’avventura iniziata a Sydney nel 2000 e destinata a rinnovarsi fra quattro anni a Los Angeles, «ma quella sarà l’ultima. Ricordi di questa esperienza? Tanti, ma l’emozione più grande quando ho premiato le nostre ginnaste».
Proprio delle ragazze (Manila Esposito, Alice D’Amato, Angela Andreoli, Giorgia Villa ed Elisa Iorio) che hanno conquistato una splendida medaglia d’argento nella ginnastica artistica, scrivendo una pagina della storia italiana di questa disciplina, ha parlato il marito di Donatella, Massimo Contaldo, titolare di un centro sportivo in città e in passato anche amministratore, a Parigi nelle vesti di team nanager di quella squadra.
Per lui i risultati raccolti oggi non sono frutto del caso, «ma di un progetto iniziato qualcosa come quarant’anni fa grazie a mia moglie come giudice, l’allenatore Enrico Casella e il sottoscritto, grazie alla fiducia concessaci dalla federazione».
Il sacerdote don Franco Finocchio ha ricoperto invece il ruolo di “cappellano” della delegazione azzurra. Da anni attivo nella Commissione sportiva della Cei, a Parigi celebrava la messa domenicale a Casa Italia e per il resto ha avuto la possibilità di aggirarsi fra un campo di gara e l’altro «provando una profonda emozione nel vedere tanti giovani atleti con le loro divise che fraternizzavano tra loro». Il suo racconto è stato impreziosito da qualche aneddoto: «Non ero riconoscibile perché non indossavo nessun simbolo religioso, neppure una piccola croce, ma l’unico vero problema è stato quello di portare il vino per la messa all’interno del Villaggio, dove gli alcolici erano proibiti. Ho rimediato con una borraccia con le insegne del Coni».
Infine, ma non certo ultimo, Roberto Lazzaro. Camerese, ha preso parte alle Paralimpiadi nella specialità del tiro a segno con carabina e pistola. Da alcuni anni è uno dei rappresentanti degli atleti nello staff della Nazionale. La rassegna riservata agli sportivi diversamente abili viene da tempo seguita con simpatia e ammirazione, grazie anche alla copertura offerta dalla televisione. In realtà, come ha confermato lui stesso, «la nostra Olimpiade viene vissuta senza pressione, in maniera più tranquilla e aperta, come del resto è il nostro mondo».