Dalla rubrica Vivere di un consumato amore

E’ stato in una mattina di Ottobre del 2011, nell’Aula Magna del mio Liceo gremita di studenti in attesa di quella che “brilla al buio su una pista arroventata”, sulla traccia  del suo “lieve zampetto di predace”.

Dalle scale scendeva un’anziana ed elegante signora, un po’ fragile nel suo reggersi al bastone, ma determinata ad attraversare la sala e a prendersi gli applausi di saluto e di ammirazione che subito l’hanno circondata.

Non aveva più “la falcata prodigiosa, il volo del passo che sconvolge e rinfranca il selciato”, ma certamente “un’onda luminosa” si diffondeva ancora “dalle mandorle tenere degli occhi”.

Avevamo davanti la Volpe di Eugenio Montale: Maria Luisa Spaziani era lì in carne e ossa. In breve ne abbiamo ricavato un’impressione di grande sensibilità e acutezza mentale; ha maliziosamente evitato ogni allusione alla sua amorosa amicizia con il grande poeta: ce ne siamo poi andati con la convinzione che la relazione tra i due sia rimasta platonica, un sodalizio letterario la cui passione comune era quella per la letteratura; e dopo aver compreso che dovevamo giudicarla non in quanto donna e meno che mai come un fantasma lirico, ma perché aveva scritto poesie e questi versi l’avevano resa un poeta.

Ci ha stupiti, dicendo che Rimbaud è stato sempre il suo dio, il poeta a cui deve di più per il suo ‘Bateau ivre’, un battello ebbro che ha perso ormeggi, equilibrio e rotta, senza più direzione o una bussola precisa.

La letteratura francese e i viaggi a Parigi sono centrali nell’immaginario poetico dell’autrice: “Ancora toccherò le sacre sponde / della Senna tre volte, sette volte? / Non mi trovo sul Lete: ogni memoria / vi squilla e vi risplende più del vero. / Credevo che mai più l’avrei rivista. / Non era facile allora viaggiare. / Sono tornata venti volte (ero / tuttavia la stessa persona)”.

Lasciare l’Italia e recarsi a Parigi sembra essere una soluzione per dimenticare un ex amante dopo la fine di una storia; eppure, la poetessa continua a pensare a lui, tanto che le sembra di vederlo dappertutto, in una ghignante statua di Notre Dame, impossibile da neutralizzare:

“Sono venuta a Parigi per dimenticarti / ma tu ostinato me ne intridi ogni spazio. / Sei la chimera orrida delle gronde di Notre-Dame, / sei l’angelo che invincibile sorride. / Veniamo a patti (il contadino e il diavolo): / lasciami il giorno per guardare, leggere, / sprecare il tempo, divertirmi, escluderti. / Notti e sogni, d’accordo, sono tuoi”.

Pescando dalla leggenda popolare, come un astuto contadino stringe un patto con il diavolo per tenersi il raccolto, la poetessa escogita un ironico e arguto stratagemma psicologico per contrastare la propria ossessione, e provare a godersi serenamente il soggiorno in città.

La Parigi di Maria Luisa Spaziani si divide tra le memorie private e quelle pubbliche ed è riconoscibile nel richiamo di alcuni luoghi – chiave della capitale: “Nel treno di Parigi antiche angosce / puntualmente ritornano: io arrivo / alla Gare de Lyon, gabbione fatiscente, / e al di là si spalanca il deserto. / Louvre? Bastille? Place Vendôme? Etoile? / Ça n’a jamais existè, ma pauvre dame!/ C’est la faute di scrittori passatisti: / frottole per sognatori, trappole per turisti”.

E’ stata anche attenta ai temi urgenti del nostro tempo. Le nostre torride estati sono puntualmente accompagnate dagli incendi boschivi, non solo a causa della siccità e del riscaldamento climatico, ma anche per l’incuria del territorio e l’opera dei piromani, cosa che la poetessa denuncia con la trasfigurazione in un fuoco infernale: “Il diavolo incendia le foreste / dell’Argentario e delle coste liguri / lascia in giro accendini o qualche tanica / di benzina a confondere i pompieri. / Così lo sguardo è laico, e si accanisce / la polizia a caccia dei piromani. / Ma appicca il fuoco, il diavolo, con gli occhi / se non insidia il cuore di qualcuno”.

Ci parla di quanto sia poco produttiva e remunerativa l’indifferenza: è come un mondo tutto grigio in cui domina l’assenza di tutti gli altri colori; per incidere sulla realtà in modo personale e originale bisogna agire sempre, mai voltarsi dall’altra parte: “ L’indifferenza è inferno senza fiamme, / ricordalo scegliendo fra mille tinte / il tuo fatale grigio. / Se il mondo è senza senso / tua solo è la colpa: / aspetta la tua impronta / questa palla di cera”.

Infine, non può una poetessa non conoscere la capacità delle parole di vincere la solitudine di chi, ormai anziano, è bisognoso di felicità e affetto più di chiunque altro: “Non sa, la barca, risalire il fiume. / Nessun vento contrasta la rapida. / Felicità, gonfiavi le mie vele. / Ora smorte ricadono in lamenti. / Ma sarebbero ancora le parole / l’essenziale energia. Quel silenzio / che sempre è il limo fertile del verso, / ora è puro veleno”.

Maria Luisa Spaziani ha lasciato questo mondo poco dopo la sua visita al Liceo, nel 2014.

Di lei conservo il ricordo di quando mi ha preso la mano, anche se non più con “lo strazio di piume lacerate che può dare la tua mano d’infante in una stretta”.

Sei un’ insegnante? – mi ha chiesto.

La dedica è ancora lì, sulla prima pagina di un suo libro di memorie: “A Claudia, che ha la responsabilità maggiore”.

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Claudia Cominoli

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Ho incontrato una Musa

Dalla rubrica Vivere di un consumato amore

E’ stato in una mattina di Ottobre del 2011, nell’Aula Magna del mio Liceo gremita di studenti in attesa di quella che “brilla al buio su una pista arroventata”, sulla traccia  del suo “lieve zampetto di predace”.

Dalle scale scendeva un’anziana ed elegante signora, un po’ fragile nel suo reggersi al bastone, ma determinata ad attraversare la sala e a prendersi gli applausi di saluto e di ammirazione che subito l’hanno circondata.

Non aveva più “la falcata prodigiosa, il volo del passo che sconvolge e rinfranca il selciato”, ma certamente “un’onda luminosa” si diffondeva ancora “dalle mandorle tenere degli occhi”.

Avevamo davanti la Volpe di Eugenio Montale: Maria Luisa Spaziani era lì in carne e ossa. In breve ne abbiamo ricavato un’impressione di grande sensibilità e acutezza mentale; ha maliziosamente evitato ogni allusione alla sua amorosa amicizia con il grande poeta: ce ne siamo poi andati con la convinzione che la relazione tra i due sia rimasta platonica, un sodalizio letterario la cui passione comune era quella per la letteratura; e dopo aver compreso che dovevamo giudicarla non in quanto donna e meno che mai come un fantasma lirico, ma perché aveva scritto poesie e questi versi l’avevano resa un poeta.

Ci ha stupiti, dicendo che Rimbaud è stato sempre il suo dio, il poeta a cui deve di più per il suo ‘Bateau ivre’, un battello ebbro che ha perso ormeggi, equilibrio e rotta, senza più direzione o una bussola precisa.

La letteratura francese e i viaggi a Parigi sono centrali nell’immaginario poetico dell’autrice: “Ancora toccherò le sacre sponde / della Senna tre volte, sette volte? / Non mi trovo sul Lete: ogni memoria / vi squilla e vi risplende più del vero. / Credevo che mai più l’avrei rivista. / Non era facile allora viaggiare. / Sono tornata venti volte (ero / tuttavia la stessa persona)”.

Lasciare l’Italia e recarsi a Parigi sembra essere una soluzione per dimenticare un ex amante dopo la fine di una storia; eppure, la poetessa continua a pensare a lui, tanto che le sembra di vederlo dappertutto, in una ghignante statua di Notre Dame, impossibile da neutralizzare:

“Sono venuta a Parigi per dimenticarti / ma tu ostinato me ne intridi ogni spazio. / Sei la chimera orrida delle gronde di Notre-Dame, / sei l’angelo che invincibile sorride. / Veniamo a patti (il contadino e il diavolo): / lasciami il giorno per guardare, leggere, / sprecare il tempo, divertirmi, escluderti. / Notti e sogni, d’accordo, sono tuoi”.

Pescando dalla leggenda popolare, come un astuto contadino stringe un patto con il diavolo per tenersi il raccolto, la poetessa escogita un ironico e arguto stratagemma psicologico per contrastare la propria ossessione, e provare a godersi serenamente il soggiorno in città.

La Parigi di Maria Luisa Spaziani si divide tra le memorie private e quelle pubbliche ed è riconoscibile nel richiamo di alcuni luoghi – chiave della capitale: “Nel treno di Parigi antiche angosce / puntualmente ritornano: io arrivo / alla Gare de Lyon, gabbione fatiscente, / e al di là si spalanca il deserto. / Louvre? Bastille? Place Vendôme? Etoile? / Ça n’a jamais existè, ma pauvre dame!/ C’est la faute di scrittori passatisti: / frottole per sognatori, trappole per turisti”.

E’ stata anche attenta ai temi urgenti del nostro tempo. Le nostre torride estati sono puntualmente accompagnate dagli incendi boschivi, non solo a causa della siccità e del riscaldamento climatico, ma anche per l’incuria del territorio e l’opera dei piromani, cosa che la poetessa denuncia con la trasfigurazione in un fuoco infernale: “Il diavolo incendia le foreste / dell’Argentario e delle coste liguri / lascia in giro accendini o qualche tanica / di benzina a confondere i pompieri. / Così lo sguardo è laico, e si accanisce / la polizia a caccia dei piromani. / Ma appicca il fuoco, il diavolo, con gli occhi / se non insidia il cuore di qualcuno”.

Ci parla di quanto sia poco produttiva e remunerativa l’indifferenza: è come un mondo tutto grigio in cui domina l’assenza di tutti gli altri colori; per incidere sulla realtà in modo personale e originale bisogna agire sempre, mai voltarsi dall’altra parte: “ L’indifferenza è inferno senza fiamme, / ricordalo scegliendo fra mille tinte / il tuo fatale grigio. / Se il mondo è senza senso / tua solo è la colpa: / aspetta la tua impronta / questa palla di cera”.

Infine, non può una poetessa non conoscere la capacità delle parole di vincere la solitudine di chi, ormai anziano, è bisognoso di felicità e affetto più di chiunque altro: “Non sa, la barca, risalire il fiume. / Nessun vento contrasta la rapida. / Felicità, gonfiavi le mie vele. / Ora smorte ricadono in lamenti. / Ma sarebbero ancora le parole / l'essenziale energia. Quel silenzio / che sempre è il limo fertile del verso, / ora è puro veleno”.

Maria Luisa Spaziani ha lasciato questo mondo poco dopo la sua visita al Liceo, nel 2014.

Di lei conservo il ricordo di quando mi ha preso la mano, anche se non più con “lo strazio di piume lacerate che può dare la tua mano d’infante in una stretta”.

Sei un’ insegnante? - mi ha chiesto.

La dedica è ancora lì, sulla prima pagina di un suo libro di memorie: “A Claudia, che ha la responsabilità maggiore”.

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