Anche il Bosco Verticale e la Biblioteca degli Alberi si intravedono a stento nella pesante caligine giallastra che avvolge Milano in questi giorni: ad aggravare lo smog ci sono le scarse precipitazioni e le temperature sopra le medie stagionali delle ultime settimane, che hanno fatto ristagnare l’aria.
La Pianura Padana soffoca schiacciata dall’inquinamento, libero di insinuarsi nei nostri polmoni; mentre Milano e l’hinterland si contendono la peggior qualità dell’aria al mondo con città quali Lahore in Pakistan e Dacca in Bangladesh, c’è chi ancora spiega il record con la sfortunata posizione geografica della pianura o si mette a disquisire sui diversi indicatori di qualità considerati da IQAir e Arpa.
I governi dei Ventisette e l’Europarlamento impongono una stretta decisiva ai livelli degli inquinanti più nocivi, le polveri sottili Pm 2,5, Pm 10 e No2, ma di certo il nuovo anno non è iniziato sotto i migliori auspici e gli obiettivi dell’Agenda 2030 rischiano di rimanere buoni propositi, parole e icone dell’educazione civica a scuola, che non si traducono in azioni sufficientemente rapide e adeguate.
Dati, grafici e modelli matematici non ci scuotono?
Eppure le questioni ecologiche occupano uno spazio centrale nell’esperienza e nell’immaginario della contemporaneità, l’ecologia è divenuta una struttura di senso, rispetto alla quale individui e società orientano i propri valori e costruiscono le proprie rappresentazioni.
E in tale contesto la letteratura ha un ruolo essenziale. Lo ha sempre avuto, dato che l’idea di ambiente e la relazione tra uomo e natura sono state fissate attraverso i testi letterari.
Versi e racconti funzionano meglio dei grafici, anzi sono addirittura profetici.
Alla salubrità dell’aria di Milano Giuseppe Parini dedica un’ode già nel 1759: da sempre attento all’ambiente e al territorio, il poeta illuminista scatena la sua vis polemica contro l’ozioso menefreghismo di chi ha ridotto la città ad un luogo immondo e invivibile: “Ben larga ancor natura / fu a la città superba / di cielo e d’aria pura: / ma chi i bei doni or serba / fra il lusso e l’avarizia / e la stolta pigrizia? ”.
Le marcite producono fetide esalazioni, (come oggi le discariche a cielo aperto), l’inerzia dei cittadini e la noncuranza del bene pubblico sono responsabilità precise di ordine sociale ed economico: “Pera colui che primo…/ per lucro ebbe a vile / la salute civile”.
Se Parini vive in una civiltà ancora pre-industriale e agricola, la Milano raccontata da Andrea de Carlo nel romanzo ‘Due di due’ è ormai una grande città industriale che, con la sua aria irrespirabile e il frastuono del traffico, diventa il simbolo materiale dell’insofferenza dei due protagonisti:
“Le macchine e i camion si avventavano con furia dissennata tra gli argini grigi delle facciate, si lasciavano dietro onde laceranti di rumore, scie di gas irrespirabili. […] Sono andato a piedi con la mia borsa lungo un viale percorso da fiumi di mezzi meccanici che grattavano e laceravano e centrifugavano l’aria, se la vomitavano alle spalle ancora più difficile da respirare. Il marciapiede era sporco di chiazze d’olio e polvere nerastra ed escrementi di cane e catarro umano”.
In una nuvola di smog fumosa e carica di detriti chimici Italo Calvino immerge il redattore della ‘Purificazione’, bollettino dell’EPAUCI (Ente per la Purificazione dell’Atmosfera Urbana dei Centri Industriali), che si occupa di problemi ambientali ed è diretto dal consigliere delegato di una fabbrica che contribuisce ad inquinare la città.
Durante una gita sulla collina sopra Torino, il protagonista si accorge di una nuvola densa di smog che avvolge, insozza e sovrasta tutto quanto: la contaminazione dell’aria è insidiosa, costante, invade l’esistenza ed è impossibile sfuggirle:
“Era insomma un’ombra di sporco che la insudiciava tutta e ne mutava pure la consistenza, perché era greve, non ben spiccicata dalla terra, dalla distesa screziata della città sulla quale pure scorreva lentamente, a poco a poco cancellandola da una parte e dall’altra ricoprendola, ma lasciandosi dietro uno strascico come di filacce un po’ sudicie, che non finivano mai”.
Come sempre in Calvino lo sguardo straniato fa la differenza: il suo giornalista era sempre stato indifferente ai problemi creati dalla società industriale, ma vedere per la prima volta lo smog da fuori e dall’alto gli consente di coglierne l’orrore minaccioso.
E’ uno sguardo acuto, capace di avvertire la gravità di un fenomeno ai suoi esordi (il racconto è del 1958) e le sue future conseguenze, l’esigenza di una liberazione e di un cambiamento: la ricca fidanzata Claudia si sottrae all’insidia soggiornando in località esclusive di montagna o in luoghi esotici, ma è un’alternativa falsa e ingannevole.
Letteratura e ambiente in Calvino non si riducono semplicisticamente a un monumento separato dal mondo, nelle sue opere l’ecologia è un paradigma conflittuale: la letteratura ci rappresenta la tensione e la relazione tra ciò che è naturale e ciò che non lo è, rinuncia alla celebrazione dell’ambiente e ne descrive invece la complessità e la fragilità.
‘La nuvola di smog’ è un susseguirsi, come in una danza, di immagini di polvere: nel finale invece, il narratore cammina dietro a dei carretti di lavandai, esce dalla città e arriva in una borgata di campagna, appena fuori dalla periferia e dalla nuvola inquinata. Passeggia in una distesa di panni bianchi, liberati dalla polvere:
“Tra i prati e le siepi e i pioppi continuavo a seguire con lo sguardo i fontanili, i campi dove le donne come vendemmiassero passavano coi cesti a staccare la biancheria asciutta dai fili, e la campagna nel sole dava fuori il suo verde tra quel bianco, e l’acqua correva via gonfia di bolle azzurrine. Non era molto, ma a me che non cercavo altro che immagini da tenere negli occhi, forse bastava”.
Negli anni del boom economico esisteva ancora un mondo fuori dalla nuvola.
Noi possiamo sperare in una tecnologia salvifica al momento sconosciuta, ma non possiamo raccontare che va tutto bene.
(Immagine: Milano, il Bosco verticale e i grattacieli di City Life)