Sono state le prime a votare, il 2 Giugno 1946, le prime ad essere elette e a partecipare, il 25 Giugno 1946, all’inizio dei lavori dell’Assemblea Costituente... Dalla rubrica letteraria "Vivere di un consumato amore"

Sono state le prime a votare, il 2 Giugno 1946, le prime ad essere elette e a partecipare, il 25 Giugno 1946, all’inizio dei lavori dell’Assemblea Costituente per redigere la nuova Costituzione; hanno ratificato trattati internazionali, votato la fiducia al governo e approvato leggi di bilancio.

Ventuno donne (in foto), che hanno dato voce in sede istituzionale alle istanze del mondo femminile senza più delegarle agli uomini e senza omologarsi. Il primo intervento svolto da una donna a favore della parità fu quello di Angela Maria Guidi, già alla Consulta Nazionale, un organo operativo tra Settembre ‘45 e 1 Giugno ‘46:

“Colleghi Consultori, nel vostro applauso ravviso un saluto per la donna che per la prima volta parla in quest’aula. Non un applauso dunque per la mia persona ma per me quale rappresentante delle donne italiane che ora, per la prima volta, partecipano alla vita politica del paese. Ardisco pensare, pur parlando col cuore di democratica cristiana, di poter esprimere il sentimento, i propositi e le speranze di tanta parte di donne italiane; credo proprio di interpretare il pensiero di tutte noi Consultrici invitandovi a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e di cavalleria di altri tempi, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire, che ha lavorato con voi, con voi ha sofferto, ha resistito, ha combattuto, con voi ha vinto con armi talvolta diverse ma talvolta simili alle vostre e che ora con voi lotta per una democrazia che sia libertà politica, giustizia sociale, elevazione morale”.

Tutte avevano una visione avanzata dell’emancipazione femminile, portavano in Parlamento un bagaglio culturale acquisito anche nelle università, tanto attivismo politico, impegno antifascista e, pur nella diversa estrazione culturale e appartenenza politica, la volontà democratica di superare le singole ideologie in nome di un pluralismo al servizio del bene comune.

Angela Gotelli, un passato di crocerossina a supporto dei perseguitati politici, ricorda così quel momento: “Eravamo tutte donne con esperienze e sofferenze proprie, eravamo balzate un po’ in fretta, un po’ di colpo all’elettorato attivo e passivo, unite nel desiderio di ricostruire la patria devastata e nella fondazione consapevole e coraggiosa di un nuovo ordinamento”.

Cinque di loro entrarono a far parte della Commissione incaricata della stesura della Carta Costituzionale: Nilde Iotti, Maria Federici, Lina Merlin, Teresa Noce, Ottavia Buscemi.

Lavoro, scena pubblica, cultura e famiglia erano gli ambiti in cui le madri costituenti concentrarono il loro intervento per garantire alle donne non solo la possibilità di affermarsi, bensì la pari dignità e l’uguaglianza di fatto.

Si dice che senza la consapevolezza e la determinazione delle donne, i colleghi maschi avrebbero ritenuto superfluo precisare nell’articolo 3 la pari dignità sociale dei cittadini “senza distinzione di sesso”: chi, se non il sesso debole, avrebbe potuto insistere sulla necessità di rendere esplicita quella distinzione, a fronte delle discriminazioni economiche e sociali dell’universo femminile?

Fondamentale fu il contributo di Nilde Iotti per la stesura degli articoli 29, 30, e 31 incentrati sulla famiglia: uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, tutela dei figli nati al di fuori del matrimonio. A colei che sarebbe diventata la prima donna Presidente della Camera (1979) dobbiamo gli sforzi perché non fosse sancita l’indissolubilità del matrimonio, rendendo così possibile la legge sul divorzio.

Non riuscirono a garantire allora l’accesso delle donne in magistratura, ma tanto si spesero per i diritti delle lavoratrici, per la partecipazione politica, l’accesso alle cariche pubbliche anche in rapporto alla tutela della maternità: e di questo ringraziamo in modo particolare Teresa Noce, Lina Merlin, Maria Maddalena Rossi.

L’onestà intellettuale di quest’ultima, poi diventata Presidente dell’Unione Donne Italiane, fu evidente quando non si tirò indietro di fronte alle scomode verità della Liberazione. Femminista, comunista quando il partito era ancora clandestino, e antifascista arrestata e mandata al confino, nel ‘52 aprì un’interrogazione parlamentare per denunciare l’episodio delle marocchinate: 25.000 e forse più donne italiane stuprate dalle truppe magrebine venute a ‘liberare’ l’Italia.

Rispose ad un onorevole con tali parole: “Non deve confrontare questa sventura con altre, grandi o piccole che siano, né collocarla nella categoria degli incidenti. Altrimenti non basta più parlare di insensibilità, perché di tratterebbe di cinismo”.

Di Maria Federici possiamo ricordare il suo libro ‘Il cesto di lana’, che allude al tradizionale destino femminile:“Quando tuo marito sarà alla guerra o al foro, tu avrai per compagno un cesto di lana”.

Parità di trattamento salariale e uguaglianza di diritti furono i suoi obiettivi primari.

Angelina Merlin, promotrice e firmataria della legge che introduceva i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, così rispondeva a Oriana Fallaci: “Ne parlano ancora? Ah, questo paese di viriloni che passan per gli uomini più dotati e poi non riescono a conquistare una donna da soli”.

Fu sempre lei a promuovere la legge che eliminava la disparità tra figli adottivi e figli propri e la soppressione della ‘clausola di nubilato’, che imponeva il licenziamento alle lavoratrici che si sposavano.

Laura Bianchini, nota come Penelope nelle formazioni partigiane di orientamento cattolico, ci teneva a ribadire che “l’insegnamento non è un servizio pubblico, ma di utilità pubblica e di pubblico interesse”.

Di Angiola Minella si diceva che “persino l’onorevole Andreotti scantona, quando avanza l’onorevole Minella”. Sua madre le impedì di studiare da medico, a suo avviso un mestiere non adatto ad una donna; divenne una delle deputate più attive per l’assistenza sanitaria alla maternità e all’infanzia.

La storia del nostro Paese dimostra che nessuna lotta si conclude senza la partecipazione delle donne: determinate e rispettose, ma mai intimidite.

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Sono state le prime a votare, il 2 Giugno 1946, le prime ad essere elette e a partecipare, il 25 Giugno 1946, all’inizio dei lavori dell’Assemblea Costituente…
Dalla rubrica letteraria “Vivere di un consumato amore”

Sono state le prime a votare, il 2 Giugno 1946, le prime ad essere elette e a partecipare, il 25 Giugno 1946, all’inizio dei lavori dell’Assemblea Costituente per redigere la nuova Costituzione; hanno ratificato trattati internazionali, votato la fiducia al governo e approvato leggi di bilancio.

Ventuno donne (in foto), che hanno dato voce in sede istituzionale alle istanze del mondo femminile senza più delegarle agli uomini e senza omologarsi. Il primo intervento svolto da una donna a favore della parità fu quello di Angela Maria Guidi, già alla Consulta Nazionale, un organo operativo tra Settembre ‘45 e 1 Giugno ‘46:

“Colleghi Consultori, nel vostro applauso ravviso un saluto per la donna che per la prima volta parla in quest’aula. Non un applauso dunque per la mia persona ma per me quale rappresentante delle donne italiane che ora, per la prima volta, partecipano alla vita politica del paese. Ardisco pensare, pur parlando col cuore di democratica cristiana, di poter esprimere il sentimento, i propositi e le speranze di tanta parte di donne italiane; credo proprio di interpretare il pensiero di tutte noi Consultrici invitandovi a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e di cavalleria di altri tempi, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire, che ha lavorato con voi, con voi ha sofferto, ha resistito, ha combattuto, con voi ha vinto con armi talvolta diverse ma talvolta simili alle vostre e che ora con voi lotta per una democrazia che sia libertà politica, giustizia sociale, elevazione morale”.

Tutte avevano una visione avanzata dell’emancipazione femminile, portavano in Parlamento un bagaglio culturale acquisito anche nelle università, tanto attivismo politico, impegno antifascista e, pur nella diversa estrazione culturale e appartenenza politica, la volontà democratica di superare le singole ideologie in nome di un pluralismo al servizio del bene comune.

Angela Gotelli, un passato di crocerossina a supporto dei perseguitati politici, ricorda così quel momento: “Eravamo tutte donne con esperienze e sofferenze proprie, eravamo balzate un po’ in fretta, un po’ di colpo all’elettorato attivo e passivo, unite nel desiderio di ricostruire la patria devastata e nella fondazione consapevole e coraggiosa di un nuovo ordinamento”.

Cinque di loro entrarono a far parte della Commissione incaricata della stesura della Carta Costituzionale: Nilde Iotti, Maria Federici, Lina Merlin, Teresa Noce, Ottavia Buscemi.

Lavoro, scena pubblica, cultura e famiglia erano gli ambiti in cui le madri costituenti concentrarono il loro intervento per garantire alle donne non solo la possibilità di affermarsi, bensì la pari dignità e l’uguaglianza di fatto.

Si dice che senza la consapevolezza e la determinazione delle donne, i colleghi maschi avrebbero ritenuto superfluo precisare nell’articolo 3 la pari dignità sociale dei cittadini “senza distinzione di sesso”: chi, se non il sesso debole, avrebbe potuto insistere sulla necessità di rendere esplicita quella distinzione, a fronte delle discriminazioni economiche e sociali dell’universo femminile?

Fondamentale fu il contributo di Nilde Iotti per la stesura degli articoli 29, 30, e 31 incentrati sulla famiglia: uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, tutela dei figli nati al di fuori del matrimonio. A colei che sarebbe diventata la prima donna Presidente della Camera (1979) dobbiamo gli sforzi perché non fosse sancita l’indissolubilità del matrimonio, rendendo così possibile la legge sul divorzio.

Non riuscirono a garantire allora l’accesso delle donne in magistratura, ma tanto si spesero per i diritti delle lavoratrici, per la partecipazione politica, l’accesso alle cariche pubbliche anche in rapporto alla tutela della maternità: e di questo ringraziamo in modo particolare Teresa Noce, Lina Merlin, Maria Maddalena Rossi.

L’onestà intellettuale di quest’ultima, poi diventata Presidente dell’Unione Donne Italiane, fu evidente quando non si tirò indietro di fronte alle scomode verità della Liberazione. Femminista, comunista quando il partito era ancora clandestino, e antifascista arrestata e mandata al confino, nel ‘52 aprì un’interrogazione parlamentare per denunciare l’episodio delle marocchinate: 25.000 e forse più donne italiane stuprate dalle truppe magrebine venute a ‘liberare’ l’Italia.

Rispose ad un onorevole con tali parole: “Non deve confrontare questa sventura con altre, grandi o piccole che siano, né collocarla nella categoria degli incidenti. Altrimenti non basta più parlare di insensibilità, perché di tratterebbe di cinismo”.

Di Maria Federici possiamo ricordare il suo libro ‘Il cesto di lana’, che allude al tradizionale destino femminile:“Quando tuo marito sarà alla guerra o al foro, tu avrai per compagno un cesto di lana”.

Parità di trattamento salariale e uguaglianza di diritti furono i suoi obiettivi primari.

Angelina Merlin, promotrice e firmataria della legge che introduceva i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, così rispondeva a Oriana Fallaci: “Ne parlano ancora? Ah, questo paese di viriloni che passan per gli uomini più dotati e poi non riescono a conquistare una donna da soli”.

Fu sempre lei a promuovere la legge che eliminava la disparità tra figli adottivi e figli propri e la soppressione della ‘clausola di nubilato’, che imponeva il licenziamento alle lavoratrici che si sposavano.

Laura Bianchini, nota come Penelope nelle formazioni partigiane di orientamento cattolico, ci teneva a ribadire che “l’insegnamento non è un servizio pubblico, ma di utilità pubblica e di pubblico interesse”.

Di Angiola Minella si diceva che “persino l’onorevole Andreotti scantona, quando avanza l’onorevole Minella”. Sua madre le impedì di studiare da medico, a suo avviso un mestiere non adatto ad una donna; divenne una delle deputate più attive per l’assistenza sanitaria alla maternità e all’infanzia.

La storia del nostro Paese dimostra che nessuna lotta si conclude senza la partecipazione delle donne: determinate e rispettose, ma mai intimidite.

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