Da quando nel 2001 due aerei di linea dirottati vennero fatti schiantare contro i grattacieli più alti di Manhattan, le Torri Gemelle, l’11 Settembre ha smesso di essere un giorno qualsiasi non solo per la Grande Mela, ma anche per il resto del mondo

Da quando nel 2001 due aerei di linea dirottati vennero fatti schiantare contro i grattacieli più alti di Manhattan, le Torri Gemelle, l’11 Settembre ha smesso di essere un giorno qualsiasi non solo per la Grande Mela, ma anche per il resto del mondo. Lo schianto è stato solo l’inizio dell’incubo, a cui seguirono l’incendio e il crollo delle Twin Towers, cambiando per sempre lo skyline di New York.

La rapida ricezione dell’evento nella comunicazione di massa ci tenne inchiodati alle tv con immagini che, a distanza di anni, mantengono intatta la loro potenza e risvegliano in noi il trauma collettivo subito quel giorno: increduli, presenti alla nostra vulnerabilità di fronte a un terrorismo che estendeva la guerra santa in un luogo simbolo dell’intero occidente.

Il titolo di un romanzo di Don DeLillo, “L’uomo che cade”, ci richiama una delle scene più impressionanti, quella di tante persone che preferivano lanciarsi nel vuoto dai grattacieli in fiamme, piuttosto che attendere la morte in un inferno infuocato: ‘Nell’aria c’era ancora il boato, il tuono ritorto del crollo. Fumo e cenere rotolavano per le strade e svoltavano angoli, esplodevano sismiche ondate di fumo cariche di fogli di carta per ufficio che planavano. Il mondo era anche questo, sagome dentro finestre a trecento metri d’altezza, che cadevano nel vuoto, tanfo di combustibile in fiamme, lo squarcio costante delle sirene’.

Ispirata dalle tante fotografie che hanno immortalato quel tragico volo, la poetessa polacca premio Nobel Wislawa Szymborska sceglie di esprimere un profondo senso di umana pietà per le vittime congelando il tempo nell’istante della caduta: ‘Saltarono dai piani in fiamme / uno, due, altri ancora. / Una fotografia li ha fissati vivi, / e ora li conserva / sopra la terra verso la terra. /Ognuno è ancora un tutto / con il proprio viso / e il sangue ben nascosto. / C’è abbastanza tempo / perché si scompiglino i capelli / e dalle tasche cadano gli spiccioli, le chiavi. / Restano ancora nella sfera dell’aria, nell’ambito di luoghi / che si sono appena aperti. / Solo due cose posso fare per loro.. / descrivere quel volo / e non aggiungere una parola finale’.

Non ci siamo nemmeno dimenticati dell’abnegazione con cui i vigili del fuoco si sono prodigati per prestare i soccorsi, ricoperti di cenere e polveri e coi polmoni aggrediti dalla nube tossica; al lor sacrificio va la riconoscenza di Giovanni Giudici espressa con versi essenziali e molto intimi: ‘Bambini in trecento son morti / Bambini che prima di ieri / Erano giovani e forti / A loro nei vostri pensieri / Tenetevi stretti un minuto / Quando giocate ai pompieri / Il vostro gentile saluto’.

Il più grave attentato terroristico in un paese occidentale ha avuto un costo altissimo in termini di vite umane, reazioni e rappresaglie, e il cerchio sembra essersi chiuso il 2 Agosto di quest’anno, quando un drone americano ha ucciso Al Zawahiri, il leadre di Al Qaeda subentrato a Bin Laden, dopo che già il 30 Agosto 2021 l’ultimo soldato degli Stati Uniti ha lasciato l’Afghanistan dopo una guerra lunghissima.

In questi 21 anni abbiamo assistito all’inasprimento dei rapporti tra occidente e mondo arabo, ad altre stragi in Europa dovute al radicalismo islamico, Al Qaeda ha ceduto il campo all’Isis e ai Talebani; nel frattempo i nostri timori sono mutati: il grido ‘Allah akbar’ ci spaventa meno di un virus invisibile e devastante.

In questi anni se ne sono andati due tra gli intellettuali che all’indomani degli attentati si sono interrogati e confrontati sulle dinamiche in atto nell’occidente capitalista. Oriana Fallaci firmò una dura invettiva contro la civiltà occidentale soggetta, a suo dire, ad un processo di decadenza e incapace di difendere la sua identità storica e culturale: ‘Intimiditi come siete dalla paura di apparire razzisti, non capite che qui è in atto una Crociata alla rovescia, una guerra di religione che mira alla scomparsa della nostra libertà, all’annientamento del nostro modo di vivere e di morire’.

Le rispose Tiziano Terzani, convinto che violenze e sopraffazioni possano esercitarsi in modi diversi anche nel mondo occidentale, tutt’altro che immune da responsabilità nei conflitti: ‘Se alla violenza dell’attacco delle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza, alla nostra ne seguirà una loro ancora più orribile, e così via. […] Il terrorismo, come modo di usare la violenza, può esprimersi in varie forme, anche economiche, e sarà difficile arrivare ad una definizione comune del nemico da debellare’.

La ferita nel cuore di Ground Zero è stata ricucita, saggisti e politologi hanno continuato a dibattere su dubbi, teorie stravaganti, complotti e nuove potenze emergenti; poeti e narratori hanno invece preferito chiedersi se si può ancora scrivere quando gli uomini mostrano al mondo tutta la loro disumanità.

Valerio Magrelli dice che la notte dopo il tragico attentato milioni di telespettatori hanno presumibilmente fatto, in lingue diverse, un sogno simile: nessuno può far finta di nulla, ognuno è chiamato a darsi delle risposte, vincendo il rischio di risultare banali e retorici: ‘Il nostro sonno, oggi, / sarà un compito in classe. / Tema: noi torce. / Svolgimento: ognuno / covi, dormendo, la sua fiamma, accesa | al fuoco morto del televisore’.

Alda Merini ha reso esplicito in modo dolce e semplice che lo scenario della nostra vita è mutato: ‘Penso che l’amore sia una grande torre / una torre addormentata nel / cuore della notte. / Ma questi giganti che ormai non parlano più / hanno sepolto sotto le loro macerie / anche i nostri sospiri d’amore, / “quando la sera si stendeva sopra un tavolo / come un paziente in preda alla narcosi”.

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L’uomo che cade

Da quando nel 2001 due aerei di linea dirottati vennero fatti schiantare contro i grattacieli più alti di Manhattan, le Torri Gemelle, l’11 Settembre ha smesso di essere un giorno qualsiasi non solo per la Grande Mela, ma anche per il resto del mondo

Da quando nel 2001 due aerei di linea dirottati vennero fatti schiantare contro i grattacieli più alti di Manhattan, le Torri Gemelle, l’11 Settembre ha smesso di essere un giorno qualsiasi non solo per la Grande Mela, ma anche per il resto del mondo. Lo schianto è stato solo l’inizio dell’incubo, a cui seguirono l’incendio e il crollo delle Twin Towers, cambiando per sempre lo skyline di New York.

La rapida ricezione dell’evento nella comunicazione di massa ci tenne inchiodati alle tv con immagini che, a distanza di anni, mantengono intatta la loro potenza e risvegliano in noi il trauma collettivo subito quel giorno: increduli, presenti alla nostra vulnerabilità di fronte a un terrorismo che estendeva la guerra santa in un luogo simbolo dell’intero occidente.

Il titolo di un romanzo di Don DeLillo, “L’uomo che cade”, ci richiama una delle scene più impressionanti, quella di tante persone che preferivano lanciarsi nel vuoto dai grattacieli in fiamme, piuttosto che attendere la morte in un inferno infuocato: ‘Nell’aria c’era ancora il boato, il tuono ritorto del crollo. Fumo e cenere rotolavano per le strade e svoltavano angoli, esplodevano sismiche ondate di fumo cariche di fogli di carta per ufficio che planavano. Il mondo era anche questo, sagome dentro finestre a trecento metri d’altezza, che cadevano nel vuoto, tanfo di combustibile in fiamme, lo squarcio costante delle sirene’.

Ispirata dalle tante fotografie che hanno immortalato quel tragico volo, la poetessa polacca premio Nobel Wislawa Szymborska sceglie di esprimere un profondo senso di umana pietà per le vittime congelando il tempo nell’istante della caduta: ‘Saltarono dai piani in fiamme / uno, due, altri ancora. / Una fotografia li ha fissati vivi, / e ora li conserva / sopra la terra verso la terra. /Ognuno è ancora un tutto / con il proprio viso / e il sangue ben nascosto. / C’è abbastanza tempo / perché si scompiglino i capelli / e dalle tasche cadano gli spiccioli, le chiavi. / Restano ancora nella sfera dell’aria, nell’ambito di luoghi / che si sono appena aperti. / Solo due cose posso fare per loro.. / descrivere quel volo / e non aggiungere una parola finale’.

Non ci siamo nemmeno dimenticati dell’abnegazione con cui i vigili del fuoco si sono prodigati per prestare i soccorsi, ricoperti di cenere e polveri e coi polmoni aggrediti dalla nube tossica; al lor sacrificio va la riconoscenza di Giovanni Giudici espressa con versi essenziali e molto intimi: ‘Bambini in trecento son morti / Bambini che prima di ieri / Erano giovani e forti / A loro nei vostri pensieri / Tenetevi stretti un minuto / Quando giocate ai pompieri / Il vostro gentile saluto’.

Il più grave attentato terroristico in un paese occidentale ha avuto un costo altissimo in termini di vite umane, reazioni e rappresaglie, e il cerchio sembra essersi chiuso il 2 Agosto di quest’anno, quando un drone americano ha ucciso Al Zawahiri, il leadre di Al Qaeda subentrato a Bin Laden, dopo che già il 30 Agosto 2021 l’ultimo soldato degli Stati Uniti ha lasciato l’Afghanistan dopo una guerra lunghissima.

In questi 21 anni abbiamo assistito all’inasprimento dei rapporti tra occidente e mondo arabo, ad altre stragi in Europa dovute al radicalismo islamico, Al Qaeda ha ceduto il campo all’Isis e ai Talebani; nel frattempo i nostri timori sono mutati: il grido ‘Allah akbar’ ci spaventa meno di un virus invisibile e devastante.

In questi anni se ne sono andati due tra gli intellettuali che all’indomani degli attentati si sono interrogati e confrontati sulle dinamiche in atto nell’occidente capitalista. Oriana Fallaci firmò una dura invettiva contro la civiltà occidentale soggetta, a suo dire, ad un processo di decadenza e incapace di difendere la sua identità storica e culturale: ‘Intimiditi come siete dalla paura di apparire razzisti, non capite che qui è in atto una Crociata alla rovescia, una guerra di religione che mira alla scomparsa della nostra libertà, all’annientamento del nostro modo di vivere e di morire’.

Le rispose Tiziano Terzani, convinto che violenze e sopraffazioni possano esercitarsi in modi diversi anche nel mondo occidentale, tutt’altro che immune da responsabilità nei conflitti: ‘Se alla violenza dell’attacco delle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza, alla nostra ne seguirà una loro ancora più orribile, e così via. […] Il terrorismo, come modo di usare la violenza, può esprimersi in varie forme, anche economiche, e sarà difficile arrivare ad una definizione comune del nemico da debellare’.

La ferita nel cuore di Ground Zero è stata ricucita, saggisti e politologi hanno continuato a dibattere su dubbi, teorie stravaganti, complotti e nuove potenze emergenti; poeti e narratori hanno invece preferito chiedersi se si può ancora scrivere quando gli uomini mostrano al mondo tutta la loro disumanità.

Valerio Magrelli dice che la notte dopo il tragico attentato milioni di telespettatori hanno presumibilmente fatto, in lingue diverse, un sogno simile: nessuno può far finta di nulla, ognuno è chiamato a darsi delle risposte, vincendo il rischio di risultare banali e retorici: ‘Il nostro sonno, oggi, / sarà un compito in classe. / Tema: noi torce. / Svolgimento: ognuno / covi, dormendo, la sua fiamma, accesa | al fuoco morto del televisore’.

Alda Merini ha reso esplicito in modo dolce e semplice che lo scenario della nostra vita è mutato: ‘Penso che l’amore sia una grande torre / una torre addormentata nel / cuore della notte. / Ma questi giganti che ormai non parlano più / hanno sepolto sotto le loro macerie / anche i nostri sospiri d’amore, / “quando la sera si stendeva sopra un tavolo / come un paziente in preda alla narcosi”.

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